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lunedì 26 maggio 2008

A.C. Fiorentina, tramvia e dintorni

Dato che sono un pò a corto di argomenti, o almeno non sono tanto ispirato, riparliamo di Firenze e degli scempi in essa perpretati... E' un vecchio articolo ma... Maremma com'è attuale!!!!!
Questa è la storia, vera e proprio per questo mai smentita è diventato proprietario della Fiorentina - di Fausto Carioti
Questa è la storia, vera e proprio per questo mai smentita, di come Diego Della Valle - l'imprenditore calzaturiero marchigiano la cui popolarità tra i suoi colleghi industriali si è potuta misurare concretamente lo scorso sabato 18 marzo nell'assise confindustriale di Vicenza - è diventato proprietario della Fiorentina, e del ruolo - come dire, non proprio secondario - svolto dal sindaco del capoluogo toscano Leonardo Domenici, diessino. Il tutto copiato e incollato da una vecchia inchiesta del sottoscritto pubblicata su Libero il 30 settembre del 2002, che mi sono guardato bene dall'aggiornare. All'epoca la Fiorentina si chiamava Florentia e militava nelle categorie inferiori. Tanta è stata la fretta, tanto il pathos in cui si è consumata la vicenda della Fiorentina, culminata col fallimento della società, che sono passati inavvertiti molti aspetti della curiosa storia che ha visto intrecciarsi le mosse di Leonardo Domenici, sindaco ds di Firenze e amico di Massimo D'Alema, con quelle di Diego Della Valle, proprietario della neonata Florentia e amico di D'Alema. Già a questo punto il lettore più acuto avrà intuito che il fabbricante marchigiano di scarpe non è proprio piovuto dal cielo sulla cupola del Brunelleschi, visto che mister Tod's e il primo cittadino fiorentino hanno in comune un referente di tale spessore. Niente di male, ovviamente: se il presidente del Consiglio ha il Milan e l'Extraterrestre Rivaldo, figuriamoci se un amico di D'Alema non può avere una squadra di C2 e Soldatino Di Livio. Ciò che interessa è che il sindaco si è arrampicato sugli specchi e ha fatto il salto mortale con doppio avvitamento, senza guardare in faccia a nessuno, pur di portare sul vassoio a Della Valle un investimento tagliato su misura. La Florentia è stata creata in fretta e furia il primo agosto da Domenici assieme al fido Eugenio Giani, esponente dello Sdi, assessore allo Sport e uomo vicino a Lamberto Dini. Domenici è il presidente della società, Giani fa il vice. I due, però, non intestano le quote della Florentia al Comune, ma a se stessi, fifty-fifty. E non agiscono come rappresentanti della città, ma come privati cittadini. Tanto che la prima sede della società è indicata nella casa del sindaco. Quattro giorni dopo Domenici, stavolta come sindaco di Firenze, emana un'ordinanza che impone di eseguire gli atti necessari per mettere a disposizione della società "Fiorentina 1926 Florentia" lo stadio denominato "Artemio Franchi", di proprietà del Comune, con effetto immediato. Solo in seguito, quando la Florentia sarà trasformata in società per azioni, le parti concorderanno le modalità per regolare il rapporto. Ricapitolando: il sindaco intesta a una società da lui stesso posseduta a titolo privato il diritto di usare lo stadio di Firenze in cambio di un compenso da definire a babbo morto. Poi dicono il conflitto d'interessi. L'Artemio Franchi costa al Comune, solo per il mantenimento, circa tre miliardi di lire l'anno. A questo punto qualche mattacchione potrebbe ipotizzare che l'originale delibera produca un danno erariale all'amministrazione. Di norma spetta al presidente del collegio dei revisori dei conti del municipio esercitare simili pignolerie. Ma coincidenza vuole che il signore in questione, Giancarlo Viccaro, sia stato messo da Domenici sulla poltrona di presidente del collegio sindacale della Florentia. Prima ancora di avere comprato la società - il contratto sarà firmato il giorno successivo - Della Valle ha avuto così la certezza di usare il Franchi. Senza nemmeno aver dovuto presentare un'offerta al Comune. Altro aspetto curioso è quello dell'azionariato popolare. Il 2 giugno Domenici annuncia che ai fiorentini sarà messo a disposizione il 20 per cento del capitale della nuova società. Il mattino dopo prende l'aereo privato di Della Valle che lo scodella vicino Cannes, nel cui lo porto lo attende lo yacht dell'industriale. Domenici torna a Firenze dopo aver raggiunto l'intesa, ma il 20 per cento è diventato il 19. La differenza? Il 20 per cento è la soglia minima per convocare l'assemblea degli azionisti e votare l'azione di responsabilità contro gli amministratori, insomma per contare qualcosa nella società. Così il premuroso sindaco risparmia a Della Valle pure la rottura dei focosi tifosi, pronti a trasformarsi in azionisti appena si presenterà l'occasione. La parola d'ordine è che "non esiste continuità". L'intera operazione è stata fatta per dimostrare che da un punto di vista legale la neonata Florentia non è l'erede della Fiorentina. Nel caso contrario, Della Valle si troverebbe in conto i debiti degli ex viola (110 milioni di euro al passivo) e tutto l'affare finirebbe a ramengo. Però l'operazione ha senso, anche commerciale, solo se la Florentia appare come l'erede diretta della Fiorentina. Ne è nato un fantasioso kamasutra giuridico e societario che ha prodotto risultati spesso esilaranti. Ad esempio: il 7 agosto, con uno strappo a tutte le regole, la Florentia è stata ammessa dalla Federazione a giocare in C2, cioè tra i professionisti, a patto che si assumesse i debiti che la vecchia Fiorentina aveva verso il Fondo di garanzia calciatori e allenatori. Della Valle ha accettato. Domanda: a che titolo lo ha fatto, se la sua società rifiuta di avere qualsiasi cosa a che vedere con quella che fu di Vittorio Cecchi Gori? Nella stessa delibera si legge che la società è ammessa al campionato della C2 in quanto "espressione della città di Firenze". Ma perché una società appena nata deve essere "espressione" della città quando a Firenze ci sono gli onesti pedatori della Rondinella che da oltre mezzo secolo si dannano l'anima nei campi fangosi delle serie cadette? Perché la Rondinella (che ora sogna di aggiudicarsi all'asta il giglio della Fiorentina fallita) deve giocare nello stadiuccio "delle due strade", mentre l'ultima arrivata si sistema al Franchi? E perché alla Florentia è stato fatto "il grande regalo" di giocare tra i professionisti, come lo ha chiamato il presidente della Lega di C, Mario Macalli, mentre Brindisi, Catania, Livorno, Ravenna e Taranto, nella stessa situazione, dovettero ripartire dalle categorie dilettantistiche? La risposta è una per tutte le domande: perché la Florentia è l'erede della Fiorentina. Basta non dirlo a voce alta. La commedia degli equivoci non risparmia il nome e la maglia della squadra. Che era nata come "Fiorentina 1926 Florentia", ma dopo poche settimane la parola "Fiorentina" è stata cancellata e il nome è cambiato in "Florentia Viola". Un blitz imposto dagli avvocati di Della Valle, preoccupati perché quella fastidiosa parolina rischiava di condurre alle porte della società i creditori della vecchia squadra. La Florentia, poi, è viola solo di nome. Scende in campo con un'imbarazzata maglia bianca, tanto è il terrore di essere scambiata dall'autorità giudiziaria per l'erede di quella di Cecchi Gori. L'intera vicenda, ovviamente ha i suoi bei risvolti pratici. Domenici si è inventato salvatore in extremis della Florentia (o come si chiama) ed è rimasto consigliere d'amministrazione della società di Della Valle, assieme a Giani, iniziando così con largo anticipo la prossima campagna elettorale. L'imprenditore, che nel frattempo è diventato presidente onorario della Florentia e ha messo i suoi uomini alla guida della società, in cordata con Luca Cordero di Montezemolo e Alessandro Benetton sta pensando di comprarsi dallo Stato l'Ente Tabacchi. Che ha nel gigantesco complesso immobiliare (540 mila metri quadrati) della ex Manifattura Tabacchi di Firenze, realizzato da Pier Luigi Nervi, uno dei bocconi più interessanti. E ci sono pochi dubbi che Della Valle, messa la sciarpa viola al collo, abbia già in mente come usarlo. Post scriptum. Scritto tutto questo, in bocca al lupo a Della Valle, alla Fiorentina-Florentia e ai suoi tifosi. Che arrivino presto in serie A. Perché senza i viola (viola, non bianchi) non è davvero la stessa cosa.

lunedì 18 febbraio 2008

A Firenze si moltiplicano solo gli sprechi

di Simone Innocenti (da L'espresso)
Progetti sbagliati, forniture gonfiate di materiali, architetti che si distraggono. Così sono stati buttati via 10 milioni. Ecco l'accusa delle Fiamme Gialle

Firenze canzone triste. Perché sarebbe bastato poco per incidere senza traumi nel tessuto storico del gioiello del Rinascimento, sperimentando metodi finanziari d'avanguardia nel gestire opere moderne con pareti di cotto per fare la pace con la storia. Il tutto sulla carta nel segno del buon governo. Peccato che dai cantieri sia spuntato qualcosa di molto diverso dalla città ideale. Con una serie di sprechi, di sospette malversazioni e di pacchiane superficialità che sembrano testimoniare una gara al peggio tra tecnici e amministratori comunali. Il rapporto delle Fiamme Gialle incaricate dal procuratore capo della Corte dei Conti Claudio Galtieri di fare luce sulle spese folli del piano di costruzioni comunali è un documento sorprendente: una parata di assessori distratti o incompetenti, architetti superficiali o spregiudicati, supervisori addormentati e controlli inesistenti. Quelle passate ai raggi X dai finanzieri dell'allora Gruppo servizi vari diretto dal maggiore Stefano Saletti sono due opere ormai tristemente famose, il sottopasso di viale Strozzi e il parcheggio sotterraneo della Fortezza da Basso, diventate un simbolo della 'Firenze bella addormentata' che non riesce a concretizzare i suoi sogni di sviluppo. Due opere che dovevano far parte di una rosa di interventi molto più larga, che ha però perso un pezzo dietro l'altro. E che doveva servire da prova generale per quella contestata rivoluzione cittadina delle tramvie. A leggere i risultati degli accertamenti sui costi, in città sono tanti gli amministratori a dormire sogni d'oro. Secondo il dossier nella realizzazione dei due progetti il Comune avrebbe buttato via oltre 10 milioni di euro: denaro sprecato per correggere errori grossolani nei disegni, per rettificare previsioni approssimative o addirittura abbattere strutture che strada facendo si sono rivelate mostruose. E c'è anche di peggio. Perché quando i militari del Nucleo di polizia tributaria hanno dato un'occhiata al famigerato sottopasso sono rimasti perplessi. È bastato fare i 'conti della serva' per capire che anche in superficie le spese non quadravano. È 'il miracolo di sanpietrino' con la moltiplicazione delle mattonelle e delle travi. Prendiamo le lastre in pietra Santa Fiora, un materiale richiesto dalla soprintendenza per limitare l'impatto della costruzione. La ditta fornitrice ne ha fatturati 2.416 metri quadrati; i responsabili dell'opera invece ne hanno fatti pagare al Comune 2.792. Un giochetto che, secondo i finanzieri, sarebbe costato ai cittadini 130 mila euro. Ancora più grave sarebbe la 'cresta' sulla pavimentazione in porfido, che lievita nel transito dalle fatture al contratto finale: dal momento della consegna i cubetti di porfido misteriosamente si dilatano. Un sistema che avrebbe permesso ai costruttori di intascare 158 mila euro di troppo. La fantasia prosegue anche con le travi che sostengono il tetto, che sulla carta assumono dimensioni ben più grosse del reale. I finanzieri le contano e le confrontano con la superficie fatta saldare al Comune: anche qui 167 mila euro di troppo. Persino nella bonifica dei terreni dai residuati dei bombardamenti di guerra la spesa esplode: 71 mila euro non dovuti. Insomma, sarebbe bastato fare quattro calcoli da geometra neodiplomato per scoprire una lista gonfiata per circa mezzo milione di euro. Senza mettere il naso in una innovazione tutta fiorentina che supera la creatività meridionale in fatto di appalti. Perché se un tempo dominava il famigerato adeguamento in corso d'opera, che faceva ingigantire i costi dei cantieri, sulle rive dell'Arno hanno invece inventato l'adeguamento a cose fatte: le spese extra, sottolineano i finanzieri, saltano fuori persino dopo l'apertura al traffico del sottopasso. Al centro di tutto il tentativo di usare il project financing, una rivoluzione nella gestione degli appalti, che avrebbe dovuto garantire consegne chiavi in mano senza sorprese di dubbia origine. Per questo tutto viene assegnato al consorzio Firenze Mobilità, incentrato sul colosso locale Baldassini-Tognozzi-Pontello.
Il risultato invece, secondo l'inchiesta, è l'opposto delle buone speranze di partenza. La conclusione? Nessuno controllava l'attendibilità degli importi richiesti dalla società a cui era affidata la costruzione. Non esisteva nessuna contabilità dei lavori: si andava avanti alla cieca. I finanzieri sono chiari nel definire le responsabilità erariali. L'architetto Gaetano Di Benedetto, numero uno della direzione urbanistica del Comune, viene indicato al primo posto. Lo segue l'assessore Tea Albini, che ha gestito la parte finale del piano finanziario delle opere. Ma tutta la giunta ha avallato nel silenzio le spese folli del sottopasso: tutti si sono limitati a sancire 'l'indirizzo politico' senza nemmeno chiedere lumi sui costi extra. Il sindaco Leonardo Domenici, il vicesindaco Matulli, gli assessori Coggiola, Nencini, Bevilacqua, De Siervo, Siliani Gori, Biagi, Del Lungo, Lastri e quel Graziano Cioni, celebre per l'ordinanza sui lavavetri,si sarebbero accodati con un comportamento che, per gli inquirenti, non è solo negligenza, ma anche una colpa grave nel non difendere il denaro pubblico. Ovviamente ce n'è anche per il direttore dei lavori. Il danno provocato dalla mancanza di controlli? Tre milioni e 187 mila euro.
L'assedio alla Fortezza da Basso invece ha aspetti tragicamente fantozziani. Il cantiere con parcheggi sotterranei, negozi e uffici parte e comincia a spuntare in modo minaccioso dal sottosuolo, facendo ombra ai bastioni del Sangallo. La città insorge: non erano questi i piani. L'opera viene fermata e si decide di demolire quelle costruzioni uscite fuori come funghi dal terreno. Ma neanche il secondo tentativo fa centro nel rispettare il contesto antico. La prima visita ai lavori mostra faraglioni di cemento armato che inorridiscono cittadini e assessori: nuova interruzione ordinata personalmente dal sindaco, altra revisione dei disegni. Strada facendo, il costruttore ha dovuto rinunciare a parcheggi da vendere e uffici da affittare oltre ai costi delle demolizioni. Totale: a carico del municipio ci sono 6 milioni e mezzo di euro di spese in più. Che secondo le conclusioni della Finanza andavano evitate.
La colpa, secondo gli investigatori, è dei tecnici di Soprintendenza e Comune. Nessuno si è preoccupato di verificare se i progetti rispettavano le indicazioni per salvaguardare la Fortezza medicea. Ci sono architetti che candidamente ammettono di essersi fidati della buona fede del costruttore e di avere controllato solo sull'estetica dei giardini. Sì, proprio così: mentre si innalzavano cubi di calcestruzzo l'attenzione era tutta per le armonie del parco. Così come gli esperti della Commissione edilizia che non si erano accorti delle strutture. Scriveva nel 2005 Antonio Paolucci, un'autorità dei beni culturali: "La questione della Fortezza sta diventando ogni giorno più imbarazzante". E invocava: "Nessuno che abbia un minimo di pudore può sostenere quel progetto". Il fatto triste è che i fiorentini hanno pagato due volte quegli errori. Perché per far fronte agli sbagli, il Comune in parte ha tirato fuori soldi cash, in parte ha rinunciato ad altre opere già finanziate. Come il parco fluviale del Mensola, 75 mila metri quadrati di verde attrezzato dissolti nel nulla.