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mercoledì 29 ottobre 2008

La fiera delle banalità (di Vittorio Sgarbi)

Come discostarsi da una riflessione così. Eppure tanti (non tutti) cavalcano l'onda senza neanche sapere se in fondo ci sono gli scogli. Con questo articolo chiudo il circolo sulla scuola, perchè mi sembra che di tempo ne abbiamo già perso abbastanza.
Non convincono. Troppa promiscuità Non faccio altro che vedere immagini di docenti che fanno lezione nelle piazze, in perfetta sintonia con gli studenti. Il nemico è una solo, non è il «sistema». Tutti contro la Gelmini. Il collegio dei docenti del liceo Mamiani di Roma ha approvato una «mozione-guida» per chiedere il ritiro del decreto Gelmini. Gli studenti dell’«Orientale» di Napoli hanno distribuito pacchi. Per cercare di essere spiritosi e alludere al «pacco» della riforma universitaria. Vana è la ricerca di illuminazioni, negli slogan prevedibili: «Il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini»; «Il 5 in condotta te lo diamo noi». E sempre più spenti: «State tagliando il nostro futuro»; «La vostra crisi non la pagheremo noi». Mesto e didascalico: «La scuola pubblica è un diritto: difenderlo è un dovere»; senza slancio: «Riprendiamoci il futuro»; «Il futuro era meglio in passato». E ancora freddure del genere: «Abbiamo cominciato per non fermarci», «Il ministro della pubblica distruzione»; e perfino «Cogito ergo protesto». Abbiamo fatto una ricerca abbastanza approfondita in tutta Italia per trovare qualcosa di meglio di «Giovinezza al potere», ma gli studenti sembrano particolarmente mosci e i loro striscioni sembrano fatti per non scontentare insegnanti bolsi e impigriti nelle abitudini. Ecco allora gli striscioni giudiziosi elaborati alla scuola Normale di Pisa: «Un Paese vale quanto ciò che ricerca»; «Tagliate, tagliate che la ricerca taglia la corda». Fino al catastrofico e spericolato: «Siamo sull’orlo del baratro. Questa legge è un passo avanti». Non credo che la protesta andrà molto avanti, non credo che abbia necessità e urgenza. E non credo che la Gelmini possa essere un nemico che dia senso a una protesta. La sua riforma è ancora piccola e non radicale e dispiace più agli insegnanti che agli studenti. Il maestro unico era un valore della sinistra. Lo rimpiangevano come «un pilastro della nostra convivenza» Adriano Sofri e come un «totem sacro» Marco Lodoli. Quest’ultimo, citato l’altro ieri come intellettuale organico alla sinistra da Veltroni, con spirito dolente scriveva, qualche mese fa: «Poi qualcuno ha deciso che la maestra doveva moltiplicarsi, e da una è diventata tre, e tre maestre sono diventate un viavai di volti, abbondanza e confusione. Di sicuro qualcosa si è perso». Un altro idolo della sinistra, il sociologo Edgar Morin, aggiunge, convincentemente: «Il nostro sistema di insegnamento separa le discipline e spezzetta la realtà, rendendo di fatto impossibile la comprensione del mondo». Non molto originale dunque il ritorno al maestro unico, ma non coerente e unanime, e soprattutto convinta, la sinistra la reazione alla Gelmini. Il voto in condotta, in una scuola militarmente occupata dagli spacciatori di droga e dall’affermazione di modelli imitativi, mi sembra più che una ripresa nostalgica una necessità. Tutti ricordiamo i filmini di ragazzi che ammiccavano sessualmente con giovani insegnanti e supplenti. E come giudicare i ripetenti che hanno compiuto atti sessuali con la supplente molisana di Nova Milanese nella palestra della scuola? Si trattava di una lezione di quale materia? O era in senso letterale, una questione di condotta? Era forse preferibile sanzionarla con un: non classificabile? Né si capiscono le proteste per la reintroduzione del voto in decimi: una misura di buon senso. Un numero è più efficace di un giudizio spesso sgrammaticato o ipocritamente assolutorio. Sufficiente o insufficiente si misura meglio con i numeri che con le parole che moltiplicano le sfumature e eludono le condanne. Eliminare i voti dalla scuola equivale a eliminare gli anni di pena dal carcere sostituendoli con una condanna morale non quantificata. La Gelmini dunque non ha fatto danni, ma piccoli aggiustamenti, fino alla crepuscolare ingenuità del grembiulino, icona della nostra infanzia scolastica, imposto soprattutto per evitare di macchiare gli abiti con l’inchiostro delle penne in un’Italia povera. Ora ci sono le biro e anche i bambini sono schiavi delle mode e delle griffe. Ricondurli ad abiti anonimi sembra piuttosto una misura di sinistra severa e contraria alle ostentazioni che, soprattutto negli abiti, indicano le classi sociali. Ma non è piaciuta, la Gelmini. Essa paga per Tremonti e per Berlusconi come una donna dello schermo. E, nelle strade, gli studenti sembrano difendere più gli interessi dei professori che i propri. La contestazione studentesca si affermò, ai nostri anni, come una ribellione contro il sapere cattedratico, contro la cultura dei professori, il nozionismo, la retorica, la mancanza di giudizio critico, il dogmatismo. In una parola, il principio di autorità. La lotta fu dura per rovesciare le gerarchie. Qui le gerarchie collaborano e si autotutelano rendendo gli studenti servi sciocchi per garantire cattedre e professori inutili. Così gli slogan riflettono questo difetto di motivazioni profonde. Nulla di paragonabile alla scritta che colpì la mia fantasia di studente, arrivato a Bologna, in via Zamboni, nel 1970. C’era tutto con una forte metafora, e con un richiamo a una indistinta minaccia: «Monaco attento, fischia il vento». Era il vento di una libertà nuova che con gli anni è degenerata fino alla maionese impazzita delle languide e inefficaci scritte di oggi. Sotto la loro goffa inconsistenza la rivolta sarà travolta.

sabato 25 ottobre 2008

I figli dei vip di sinistra? Tutti alle scuole private

In aiuto ai commenti di un post precedente, questo articolo di Antonio Signorini chiarisce definitivamente perchè la Gelmini, che ci piaccia o no, ha ragione.
di Antonio Signorini
Roma Tanta preoccupazione per la scuola pubblica si può spiegare solo come un atto estremo di altruismo, visto che quando si tratta di decidere il destino dei figli un bel pezzo di centrosinistra si orienta direttamente verso le scuole private. E magari straniere. Sorprende, insomma, tanta acrimonia nei confronti del ministro Gelmini, visto che non sono pochi gli esponenti della sinistra che di contatti diretti con la riforma della scuola, non ne avranno mai. Lo ha candidamente ammesso Michele Santoro nel corso dell’ultima puntata di AnnoZero, tutta dedicata alla scuola e alla nuova ondata di contestazioni studentesche.
Voleva dimostrare al leghista Roberto Cota quanto fosse sbagliata l’idea di «classi ponte» per insegnare la lingua straniera ai figli di immigrati. In sintesi: l’integrazione è facilissima anche quando un bambino si trova in un’aula dove tutti parlano una lingua che non sa. Per spiegarlo ha riportato, con comprensibile orgoglio paterno, l’esempio della figlia che frequenta una scuola straniera «e già parla un’altra lingua ». Applausi. Non si sa se dedicati alla bravura della bimba poliglotta o all’accostamento tra chi frequenta il costoso istituto francese «Chateaubriand», con l’obiettivo di diventare bilingue ed evitare le storiche carenze della scuola italiana, e i figli degli immigrati alle prese con la durissima battaglia per l’integrazione.
Ospite della trasmissione, il segretario Ds Walter Veltroni. Dei suoi investimenti immobiliari e formativi a New York a favore della figlia si sa già tutto. D’altro canto il Pci non c’è più. E con i comunisti è scomparso anche il divieto non scritto che vigeva per i dirigenti: mai iscrivere i figli alle private. Lo conferma il caso di Giovanna Melandri, la cui prole è stata affidata all’istituto privato «San Giuseppe». Si dice che l’esponente Pd abbia anche cercato di fare entrare la figlia in una scuola inglese. La stessa - la «Rome International School» - scelta dall’ex parlamentare di Rifondazione comunista Franco Russo, ansioso di dare un’educazione un po’ amerikana ai discendenti.
Niente pubbliche o comunali anche per i nipoti di Fausto Bertinotti, iscritti a suo tempo ad un prestigioso asilo romano dal metodo di insegnamento rivoluzionario. Ma a pagamento. E in effetti non è sempre la caccia alla lingua straniera la molla che fa scappare i genitori democratici dalle pubbliche. È il caso dell’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, contestato dai giovani del centrodestra per aver mandato il figlio ad un Liceo scientifico paritario di Viterbo, proprio negli anni in cui era in carica nel dicastero di viale Trastevere.
La seduzione del privato-straniero ha fatto breccia anche tra i più intransigenti girotondini. È il caso di Nanni Moretti, il cui figlio frequenta la scuola americana di Roma, la «Ambritt». Stessa scelta per il discendente di un vero e proprio outsider del Partito democratico: Mario Adinolfi. Proprio in questi giorni l’ex esponente del Ppi, per sua stessa ammissione allergico alle occupazioni, ha lodato la nuova ondata di studenti contestatori vedendoci l’embrione di un «conflittogiovanile di massa contro queste destre ». Chissà se anche dalle parti della scuola americana di Roma farà breccia l’atteso nuovo Sessantotto.
Scuola privata catanese anche per le figlie di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd. Al club del «no alle statali» si è iscritto anche Francesco Rutelli, Anche lui negli ultimi giorni si è espresso, non tanto a favore della protesta studentesca, quanto controla linea «dura» di Berlusconi. Sicuramente nessuna delle sue due figlie dovrà subire interruzioni delle lezioni: una è iscritta al liceo privato «Kennedy» e l’altra alla prestigiosissima «San Giuseppe De Merode», scuola convista su Piazza di Spagna. Da quelle parti di okkupazioni, e cortei, se ne vedono pochi.

mercoledì 15 ottobre 2008

A scuola si studia!!!!!!!!

Col passare del tempo si matura. Passano gli anni, diventi uomo, trovi lavoro, vivi da solo o convivi, ti sposi, fai dei figli. Detta così è un pò fredda, ma è la stenografia della vita di ognuno di noi. Lo scatto che ti cambia più di tutti è la nascita di un figlio, vuoi perchè è la vita che nasce dalla vita, vuoi perchè inizi a vedere il tempo più in la di quello che vivrai. Oggi non è che brilliamo per le prospettive che possiamo offrire ai nostri figli. La maggior parte degli italiani sono dipendenti, e a meno che nell'azienda non si assista ad un passaggio di testimone, i nostri figli dovranno comunque trovarsi la strada da soli. E' argomento di questi giorni la polemica contro il ministro Gelmini sulla riforma della scuola. Non voglio minimamente entrare dentro la questione perchè non è da questo che scaturisce il post. Il post nasce nel vedere la scuola stuprata dall'idiozia delle persone che permettono azioni del tipo "occupiamo" la scuola, facciamo sciopero. Orde di studenti che si sono affacciati al primo anno di liceo e subito stoppati nel loro apprendistato con la domanda se questa è la scuola. Sondaggi dimostrano come uno studente su due non conosce neanche il motivo di queste azioni. Sa soltanto che oggi e domani non studierà rimandando quel processo di formazione, che ci piaccia o no, per essere competitivi nella vita, che ci permetterà di conoscere il mondo a noi circostante. Ed anche se Matteo Maria Boiardo, Foscolo, o quello sfigato del Leopardi, non ci serviranno a niente, per avvitare un tubo o servire un caffè, sarà sempre un insegnamento per aprire la nostra mente verso la conoscenza, non nel senso assoluto, ma nel senso pratico. Sempre più la bestemmia si insinua nei discorsi dei giovani. Ma la bestemmia è un modo per coprire l'ignoranza del non saper parlare. Il contadino, il muratore, il fabbro, ci insegneranno con il loro linguaggio le cose semplici da imparare, anche senza conoscere la storia, ma saranno insegnamenti anche quelli. Il contadino non occupa il campo che lavora, il fabbro non occupa l'incudine, non se lo possono permettere. Lo studente non può occupare un luogo deputato all'insegnamento. Ci sono altre sedi e altri modi, e comunque non spetta a loro la contestazione. Mi meraviglio che si permetta tutto questo, mi meraviglio delle foto con i bambini usati come strumenti di propaganda politica, mi meraviglio dei loro genitori, mi meraviglio delle istituzioni... Questo è il prodotto del non studio, queste sono le conseguenze di questa italietta da 4 soldi, oramai fanalino di coda dell'europa "unita".
Io ho un gran ricordo del liceo, ricordo visi e gesti di professori fantastici, ricordo anche quelli meno bravi, più "fondamentalisti", ricordo la rabbia di non essere capito, ricordo la bocciatura, ricordo un periodo straordinario della mia vita, forse quello che mi ha permesso di essere l'uomo che sono oggi. Ma per i miei figli non sono così ottimista. Un lenzuolo appeso fuori della scuola non è un bell'inizio, sopratutto se al posto della C viene usata la K. "Se piove mi bagno..." è la prima frase usata dal mio professore di matematica al liceo. All'inizio pensavo che fosse completamente andato, in realtà avevo davanti un uomo che col passare degli anni è diventato un luminare, e che a distanza di quasi trentanni, me lo ricordo ancora, come se fosse ieri... Forse un pò in ritardo ma... grazie professori!