Si potrebbe pensare di uscire un ora prima, ma purtroppo non è così. Leggo le dichiarazioni del nuovo segretario del Partito Democratico Gianfranco Fini, il quale dice che la Svizzera fa male a vietare la costruzione dei minareti. Il presidente della Camera è noto alla stampa per le sue ultime dichiarazioni non proprio di destra anzi, recenti standig ovation a palchi e pulpiti di sinistra gli hanno conferito la nomina a segretario del PD mettendo definitivamente in ombra un mai nato Bersani. Indipendentemente dai vari salti della quaglia che testimoniano veramente di quanto la politica sia ormai un teatrino di bassa lega (mi si perdoni l'accostamento), mi sembra che l'onorevole Fini sia giunto al suo capolinea umano, ed anche se troverà fortune in altri lidi, il buon vecchio Almirante da lassù lo ha già scomunicato. La Svizzera ancora una volta ha deciso di testa sua, sicuramente leggendo la Rabbia e l'Orgoglio, di un autrice italiana, che in patria è stata crocefissa solo per aver detto cose riguardanti l'Islam. Ma non è la religione della mezza luna che stiamo contestando anzi, ognuno è libero di esprimersi, ma nella terra che fu di Roma, ci pare un pò strana tutta questa benevolenza. La Svizzera ha deciso grazie ad un referendum, ed il suo popolo ha parlato chiaro. Se anche in Italia si facesse, sapremo se il popolo sovrano diventerà benevolo nei confronti dell'Islam o semplicemente chiarirà che in questo paese tutti sono liberi purchè si integrino con le nostre tradizioni. Ma per un fondamentalista che pianta le tende in Italia, il terreno risulta molto fertile, trovando una chiesa in totale decadenza ed una classe politica priva della spina dorsale. E se poi uno dei capi storici della destra parla in questi termini, il gioco è presto fatto. Non so cosa porterà tutto questo, ma sicuramente, un domani, dovremo fare i conti con la benevolenza di oggi, perchè anche la libera Olanda si sta ribellando, e loro non non sono come noi, il popolo tutto è capace di svolte. Ma noi siamo veramente un popolo? Siamo un gruppo di trasformisti pronti a dire di si dalla parte dove ci fà più comodo, senza sapere che le conseguenze, a volte, non ricadono nell'immediato, ma sopratutto un domani e a pagarne le conseguenze saranno i nostri figli...
Contenitore di pensieri ad uso e consumo di voi naviganti della rete. Siatene i benvenuti, novelli Caronte del duemila...
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martedì 1 dicembre 2009
sabato 16 maggio 2009
Franceschini e il biglietto della metrò
Esilarante articolo dell'ottimo Novella, grazie anche alla complicità del segretario, ci regala un momento di ottimo spasso.
di Federico Novella
L’altro giorno quegli eroici assistenti di Dario Franceschini, che dopo la genialata finiranno a distribuire volantini elettorali sul Gran Sasso, sono stati avvistati in missione speciale in un oscuro cunicolo sotterraneo, popolato da strani macchinari metallici semoventi: la linea A della metropolitana di Roma. I portaborse del segretario, affascinati da questa misteriosa civiltà di cui Veltroni ogni tanto gli aveva parlato, si sono avventurati in una cripta inesplorata sormontata da un interessante geroglifico luminoso: «Direzione Anagnina». E atterriti da un’invisibile presenza demoniaca che gli intimava di non oltrepassare la linea gialla, hanno chiesto lumi agli aborigeni: «Scusi, dove si comprano i biglietti della metropolitana? Dal tabaccaio o in edicola?». La cronaca di Italia Oggi racconta le gesta della truppa di franceschiniani estasiati da questa nuova invenzione, la metropolitana, che ai loro occhi è come il cavallo dei Conquistadores per gli indigeni americani: mai visto. «Scusi, ma i biglietti si acquistano nelle macchinette? O c’è un controllore o un bigliettaio sul convoglio?». Figuratevi la faccia dell’impiegato dell’Atac: «Ma da dove venite, dalla Val Brembana?». No, dall’ufficio di Franceschini. Gli 007 del Pd erano in avanscoperta: preparavano «un blitz» del segretario sui vagoni, per parlare con i passeggeri della provocazione leghista sugli stranieri nei mezzi pubblici. Idea accattivante fallita dinanzi al dilemma ascetico: dove lo compro il biglietto per salire? Dal tabaccaio o dal salumiere? Ecco: questo per dire che fine ha fatto il vecchio partito degli operai, quelli che il metrò lo prendevano tutti i santi giorni per andare a Sesto San Giovanni a lavorare sull’altoforno. Il glorioso partito che lottava per la scala mobile, oggi arranca sulla scala mobile della fermata Ponte Mammolo. Il bello è che solo una settimana fa Franceschini faceva il bullo: «Invito il premier ad andare tra la gente comune, in autobus o in metropolitana». Forse cercava solo un accompagnatore: del resto al Pd non sanno neanche acquistare il biglietto, figuriamoci se possono orientarsi. E non è una bella immagine, quella del segretario e i suoi, che vagano senza meta a tarda notte alla fermata Baldo degli Ubaldi. Che poi, intendiamoci: anche Silvio, figurati, saranno anni che non prende la metrò, anzi forse non l’ha mai presa. Però stavolta è leggenDario che fa la morale: quando il premier visita una via del centro di Roma, lui alza il ditino: «Berlusconi dice di stare tra la gente comune, e poi va in via dei Coronari tra orafi e antiquari». Con ciò suscitando le proteste dei commercianti della via medesima: «Caro segretario, guardi che qui ci sono anche commessi, ristoratori, tappezzieri e spazzini, uno spaccato di gente comune». A questo punto Franceschini, specie sui temi caldi, dovrebbe chiarire dov’è che si trova questa benedetta «gente comune»: di sicuro non la raggiunge in metropolitana, perché c’è sempre quel problemino del biglietto. Chissà, forse la gente comune si nasconde nella cintura milanese, come ricorda il presidente della Provincia Penati: «Dobbiamo discutere di temi importanti come il respingimento degli immigrati, ma nel partito qual è la priorità?». O forse la gente comune si cela in quel di Torino, dove il sindaco Chiamparino batte i pugni sul tavolo: «Occorre combattere gli sbarchi per togliere l’immigrazione dalle mani della mafia». L’hanno accusato di «slealtà» verso i compagni. Solo per aver fatto capire che, se vai nei quartieri, dove una manciata di «gente comune» magari la trovi, il pensiero dominante non è quello dell’Onu o del Vaticano. O di Franceschini. Che a questo punto deve dirci qual è la gente comune che più gli aggrada, in ossequio all’antico adagio di Corrado Guzzanti: «I partiti non rappresentano più gli elettori? E allora cambiamoli, questi benedetti elettori». Potremmo dire che con questa storia al Pd sono arrivati al capolinea, ma per arrivare al capolinea bisogna prima salire in carrozza: e comprare il biglietto, a volte, è davvero un’impresa.
L’altro giorno quegli eroici assistenti di Dario Franceschini, che dopo la genialata finiranno a distribuire volantini elettorali sul Gran Sasso, sono stati avvistati in missione speciale in un oscuro cunicolo sotterraneo, popolato da strani macchinari metallici semoventi: la linea A della metropolitana di Roma. I portaborse del segretario, affascinati da questa misteriosa civiltà di cui Veltroni ogni tanto gli aveva parlato, si sono avventurati in una cripta inesplorata sormontata da un interessante geroglifico luminoso: «Direzione Anagnina». E atterriti da un’invisibile presenza demoniaca che gli intimava di non oltrepassare la linea gialla, hanno chiesto lumi agli aborigeni: «Scusi, dove si comprano i biglietti della metropolitana? Dal tabaccaio o in edicola?». La cronaca di Italia Oggi racconta le gesta della truppa di franceschiniani estasiati da questa nuova invenzione, la metropolitana, che ai loro occhi è come il cavallo dei Conquistadores per gli indigeni americani: mai visto. «Scusi, ma i biglietti si acquistano nelle macchinette? O c’è un controllore o un bigliettaio sul convoglio?». Figuratevi la faccia dell’impiegato dell’Atac: «Ma da dove venite, dalla Val Brembana?». No, dall’ufficio di Franceschini. Gli 007 del Pd erano in avanscoperta: preparavano «un blitz» del segretario sui vagoni, per parlare con i passeggeri della provocazione leghista sugli stranieri nei mezzi pubblici. Idea accattivante fallita dinanzi al dilemma ascetico: dove lo compro il biglietto per salire? Dal tabaccaio o dal salumiere? Ecco: questo per dire che fine ha fatto il vecchio partito degli operai, quelli che il metrò lo prendevano tutti i santi giorni per andare a Sesto San Giovanni a lavorare sull’altoforno. Il glorioso partito che lottava per la scala mobile, oggi arranca sulla scala mobile della fermata Ponte Mammolo. Il bello è che solo una settimana fa Franceschini faceva il bullo: «Invito il premier ad andare tra la gente comune, in autobus o in metropolitana». Forse cercava solo un accompagnatore: del resto al Pd non sanno neanche acquistare il biglietto, figuriamoci se possono orientarsi. E non è una bella immagine, quella del segretario e i suoi, che vagano senza meta a tarda notte alla fermata Baldo degli Ubaldi. Che poi, intendiamoci: anche Silvio, figurati, saranno anni che non prende la metrò, anzi forse non l’ha mai presa. Però stavolta è leggenDario che fa la morale: quando il premier visita una via del centro di Roma, lui alza il ditino: «Berlusconi dice di stare tra la gente comune, e poi va in via dei Coronari tra orafi e antiquari». Con ciò suscitando le proteste dei commercianti della via medesima: «Caro segretario, guardi che qui ci sono anche commessi, ristoratori, tappezzieri e spazzini, uno spaccato di gente comune». A questo punto Franceschini, specie sui temi caldi, dovrebbe chiarire dov’è che si trova questa benedetta «gente comune»: di sicuro non la raggiunge in metropolitana, perché c’è sempre quel problemino del biglietto. Chissà, forse la gente comune si nasconde nella cintura milanese, come ricorda il presidente della Provincia Penati: «Dobbiamo discutere di temi importanti come il respingimento degli immigrati, ma nel partito qual è la priorità?». O forse la gente comune si cela in quel di Torino, dove il sindaco Chiamparino batte i pugni sul tavolo: «Occorre combattere gli sbarchi per togliere l’immigrazione dalle mani della mafia». L’hanno accusato di «slealtà» verso i compagni. Solo per aver fatto capire che, se vai nei quartieri, dove una manciata di «gente comune» magari la trovi, il pensiero dominante non è quello dell’Onu o del Vaticano. O di Franceschini. Che a questo punto deve dirci qual è la gente comune che più gli aggrada, in ossequio all’antico adagio di Corrado Guzzanti: «I partiti non rappresentano più gli elettori? E allora cambiamoli, questi benedetti elettori». Potremmo dire che con questa storia al Pd sono arrivati al capolinea, ma per arrivare al capolinea bisogna prima salire in carrozza: e comprare il biglietto, a volte, è davvero un’impresa.
lunedì 23 febbraio 2009
Partito Democratico Cristiano
Finalmente una svolta è stata fatta. Meno finalmente la Democrazia Cristiana ha preso le redini del comando. D'altronde che è causa del suo mal pianga se stesso. Ricordo nel 1993 quando l'allora DS si fregavano le mani per aver sbaragliato i "cugini" socialisti falciati dal trattorista immobiliare e dalla vergogna di mani pulite. Io mi ricordo di tutti gli esuli, quelli che fino al giorno prima osannavano Bettino Craxi e poi hanno rinnegato tutto, tra cui Ottaviano Del Turco. Io mi ricordo chi diceva "...si, sono stato socialista, ma adesso sono guarito...". Mi ricordo anche della scellerata scelta di Uolter un anno fa di estromettere i socialisti dalla nuova coalizione, al posto di altri che meno ci potevano stare, ma facevano molto "fico". Peccato, l'idea era partita bene, facendo fuori le ali estreme della sinistra e dando un immagine più moderata ma sempre di "sinistra"... Poi però la convinzione "ma anche" la paura hanno fatto imbarcare un pò tutti a bordo dell'arca di Noè, e gli italiani se ne sono accorti, ed hanno stroncato in maniera inequivocabile le scelte del povero Veltroni che dal "we can" è passato all'"I go" (che non è la macchina della Toyota). Che dire... Con Franceschini alla guida e vari leader che si sono palesati in varie città tra cui Renzi a Firenze, ai post comunisti o presunti tali, non resta che iniziare a pregare, a non bestemmiare più, a riporre le icone tanto care alla sinistra, tra cui la falce e martello che verrà sostituita dal rosario e dalla Bibbia e dalla immancabile domenica alla messa... Già infatti si vocifera che l'ex leader del PD vada in Africa come missionario tenendo fede agli impegni presi... A me personalmente dispiace, perchè l'idea di Uolter non era male, però uomini con gli attributi non ce ne sono tanti, e in politica ancora meno... Tutte bandierine che sventolano al primo cambio di vento, pronte a vendersi, e con loro il popolo ignorante e ciuco pronto a seguirli e fare la stessa fine... Ciao compagni, sicuramente vi ritroverete in una nuova coalizione che prenderà vita alle europee, con un figuro che è stato sotto naftalina per un anno intero, pronto a risvegliarsi e a imprecare contro tutto e tutti, cavalcando il cavallo del populismo. Per il resto bentornata balena bianca, i miei più vivi complimenti...
venerdì 12 dicembre 2008
Walter L'indifendibile
Difendere il Pd? No, grazie. Non questo Pd. Non il Pd che s’è affidato all’abbraccio mortale con Di Pietro, non il Pd che in un anno, sulla strada dei girotondi, ha dilapidato il suo patrimonio di credibilità. Non il Pd del Circo Massimo, non il Pd che cavalca l'Onda, non il Pd che solletica la piazza diffondendo menzogne. Non il Pd che predica la superiorità morale mentre annega nell'immoralità, non il Pd che insegna la pulizia mentre sprofonda nella sporcizia. Non il Pd che sale sul pulpito per urlare che la sinistra rappresenta «l'Italia migliore» mentre le sue giunte cadono a pezzi sotto le inchieste della magistratura. Non il Pd che grida contro Berlusconi tiranno e dittatore. Non questo Pd, che non s’è mai saputo dare un tono, ma purtroppo s’è dato un Tonino. Difendere il Pd, come chiede per esempio Giuliano Ferrara, sarebbe possibile se Veltroni in un anno avesse fatto un po’ di quello che aveva promesso. Se, anziché buttarsi fra le braccia del trattorista di Montenero, avesse provato davvero ad andare da solo. Se avesse creato una sinistra liberata dall’odio anti-berlusconiano, un partito unico capace di elaborare un progetto dell’Italia anziché ripetere all’infinito il proposito di distruzione dell’avversario. Se avesse avanzato un’idea, una proposta, un suggerimento al di là del fin troppo facile e scontato «dagli al Cavaliere». Non esulto di fronte alle inchieste giudiziarie. Tutt’altro: continuo ad avere molti dubbi sul modo di procedere dei magistrati, sui tempi degli arresti, sull’uso delle manette e sui contenuti delle accuse. E il fatto che il Partito democratico sia dato già per morto, se non altro dai vignettisti della sinistra, mi preoccupa. Così come mi preoccupa l’inevitabile paragone che in queste ore corre sulle pagine dei giornali fra il Psi di Craxi del ’92 e il Pd di Veltroni di oggi (il finale è sempre previsto in Africa, anche se forse non a Hammamet). Il crollo dell’opposizione non è mai un bene per una democrazia. E l’avanzata di Di Pietro, pronto a fagocitare l’intera sinistra, ancor meno. Ma non se ne esce se non si capisce che questo è il risultato del fallimento di Veltroni. Ho l’impressione che il segretario del Pd abbia giocato col fuoco, sperando che l’alleanza con Tonino e il partito dei magistrati lo aiutassero a regolare conti interni. La situazione, però, evidentemente gli è scappata di mano. E se dopo oltre un anno di conduzione è costretto a dire che non si riconosce nel partito che conduce, bene, ha solo una strada da seguire: deve prendere atto del suo flop e andarsene. Così il Pd potrà difendersi. E così, forse, potremo difenderlo anche noi.
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