sabato 29 marzo 2008

Quando l'iceberg affonda il buon senso


Come tutti gli allarmismi, c'è sempre nel mondo un gruppo di persone che si sostituisce a chi veramente studia i fenomeni della natura e non solo, per quello che in realtà sono. Dopo l'11 Settembre tutti si intendono di esplosivi, dopo l'iceberg tutti climatologi, un pò come nel calcio, tutti allenatori. Una lezione viene impartita da chi veramente ne sa di più di noi e il mio invito è di leggerla.

di Franco Battaglia
Un prezioso lettore mi informa che il distacco di un colossale iceberg (13.000 kmq), occorso pochi giorni fa in Antartide, sarebbe stato riportato dal Tg1 di prima serata addirittura come prima notizia, «manco fosse uno tsunami», col solito allarmismo corroborato dall'intervista a uno dei soliti «esperti» consulenti della Rai. Nel caso specifico, pare che l'«esperto» fosse un laureato in agraria che dice di essere climatologo e uso a giurare, dall'alto della sua agronomia, che l'attuale riscaldamento globale sarebbe colpa delle emissioni antropiche di gas serra. È bene avvisare subito i lettori che la scienza ha già dimostrato che col riscaldamento globale l'uomo non c'entra, come fa fede il Rapporto del N-Ipcc - presentato a New York lo scorso 3 marzo e naturalmente ignorato dal Tg1 - dall'inequivocabile titolo: «È la natura e non le attività umane a governare il clima». L'N-Ipcc è un organismo scientifico internazionale, simile all'Ipcc ma privo del controllo politico dei governi (la «N» sta per «non-governativo»), di cui fanno parte fisici dell'atmosfera, geologi, climatologi e scienziati di scienze affini. Tra gli italiani, nell'N-Ipcc ci sono anch'io, ma segnalo soprattutto il professor Renato Ricci, già presidente delle Società di fisica sia italiana che europea. Invece, l'Ipcc - voluto dai governi perché desse loro una patente scientifica alle dissennate scelte di politica energetica e ambientale, a cominciare da quel disastro che è il protocollo di Kyoto - è l'organismo che nel 2007 fu gratificato del premio Nobel, ma di quello politico per la pace, visto che non poteva prenderne uno per la scienza, essendocene poca o punto nei comunicati dall'Ipcc sottoscritti ogni 5 anni a partire dal 1990.E veniamo all'iceberg. Il maggiore dell'Aeronautica Fabio Malaspina - fisico del clima e vero esperto - precisa che quello che il Tg1 riporta come evento eccezionale conseguente alle attività industriali, eccezionale non è. Ad esempio, ricorda il maggiore, era il 14 aprile 1912 quando, urtato da un iceberg, affondò il Titanic, quasi giunto a destinazione davanti a New York (che, ricordo, è alle latitudini di Napoli). Magari gli agronomi consulenti della Rai diranno che anche quello fu per colpa delle attività industriali - chissà quali - sino al 1912. Peccato che nella sua Storia naturale del lontano 1749, in piena piccola era glaciale, George-Louis Leclerc così ci informa: «Nel 1725 i navigatori hanno trovato i ghiacci ad una latitudine in cui non se ne trovano mai nei nostri mari settentrionali. In quell'anno non vi fu, per così dire, estate, e piovve quasi di continuo: così non soltanto i ghiacci dei mari settentrionali non si erano sciolti al 67º parallelo nel mese di aprile, ma se ne trovarono in giugno anche al 41º». Ricorda il maggiore Malaspina che, anche se sui media i poli sono presentati dal punto di vista climatologico molto simili, l'Artico è un oceano circondato da continenti (i ghiacci sono prevalentemente sull'acqua), mentre l'Antartide è un continente circondato dagli oceani. Una enorme differenza, questa, che contribuisce ai processi che, in questo ultimo periodo, inducono i ghiacci marini in Antartide ad aumentare, come accade già da molti anni, con un record di estensione raggiunto lo scorso anno (notizia naturalmente passata totalmente sotto silenzio). Per farla breve, la verità allora è che il distacco del colossale iceberg, lontano dall'essere la prova che in Antartide i ghiacci stanno diminuendo (come tutte le Agenzie hanno strillato disinformate), esso è invece la conseguenza del fatto che, lì, i ghiacci, sono aumentati come non mai. E visto che siamo in tema, consentitemi di chiudere consigliandovi una piacevolissima lettura, fresca di stampa e che, anche se non scientifica, è scientificamente scrupolosa e attendibile, perché tali i giornalisti che ne sono autori (Antonio Gaspari e Riccardo Cascioli): «Che tempo farà: falsi allarmismi e menzogne sul clima» (Piemme editore).

mercoledì 19 marzo 2008

Pacifisti latitanti (e vigliacchi)


Come dico sempre, l'omaggio a un bell'articolo non ha bisogno di commenti se non quello di leggerlo e riflettere....


di Tony Damascelli
Dove sono le bandiere della pace? Qualche lenzuolo grigio di smog resta appeso, mogio, alle finestre dei resistenti. L’arcobaleno è stato sconfitto dalle polveri sottili ma si preannunciano lavaggi energici per la propaganda delle prossime elezioni politiche. Dove sono Agnoletto e Casarini? Dove si sta muovendo l’onorevole Caruso? Che cosa pensa e urla Grillo e, con lui, i suoi fedelissimi? Dico del Tibet. Lo so, non è roba nostra. Dico dei monaci buddisti ammazzati. Sì, al massimo fanno tenerezza e poi noi abbiamo le beghe sui frati nostrani, defunti o vivi, santi o sporcaccioni, figurarsi se possiamo batterci per vicende così «minori». Le olimpiadi di Pechino? Non si svolgono mica domani, eppoi sempre ’sta storia dei Giochi, della solidarietà, della fratellanza, una noia estiva. Meglio il labiale di Ibrahimovic, il calcio d’angolo furbastro della Roma, il test antidoping all’alba per il ciclista addormentato, la centralina svalvolata della Ferrari, il listino degli esportatori di Vaduz, la colomba pasquale che, visti i costi, sembra piuttosto un condor, il diesel che affianca la benzina verde. No, i disobbedienti civili, i girotondini, i ragazzi dei centri sociali hanno altro cui pensare. Eppure là dove la terra scotta e vige la legge delle colt comuniste qualcosa sta accadendo, come accadeva nella collezione primavera estate dell’Ottantanove, quando piazza Tienanmen venne occupata romanticamente dagli studenti e liberata serenamente dai carri armati del governo cinese (comunista si può scrivere o preferite della sinistra radicale?). Oggi si svolgerà una manifestazione indetta da Il Riformista e da Radio Radicale, non prevedo adunate oceaniche come per il concerto del 1° maggio anche se il tema all’ordine del giorno è meno musicale ma scalda più di una canzone di Jovanotti. Così come nessuna trasmissione televisiva, pubblica e privata, ha presentato il modellino del monastero, la sagoma di un fucile mitragliatore, l’elenco dei morti, l’identikit degli assassini che non sono semplici vicini di casa ma i padroni di tutto il condominio, nel senso del Paese. E nessun giornale (e anche trasmissione televisiva e radiofonica) di informazione sportiva ha dato e sta dando spazio al problema relativo, alla partecipazione ai prossimi Giochi estivi, anche aprendo un dibattito, facendone discutere, non i giornalisti o le vecchie glorie dello sport, ma chi parteciperà alle Olimpiadi. Ci sono spicchi del mappamondo che restano fuori dai discorsi. Nessuno conosce il nome dei monaci tibetani coperti di sangue, i morti non parlano, i vivi anche, il regime è salvo, bandiera rossa trionferà. Le altre bandiere, ricolorate nell’arcobaleno, quelle della pace insomma, sono in lavanderia.

mercoledì 5 marzo 2008

La piccola Giuseppina uccisa per un tema che era piaciuto al Duce


Un altro grande articolo della redazione de "il Giornale"

Durante gli ultimi giorni di aprile 45, ricordati come le «radiose giornate», venne commesso in Savona un efferato delitto su una ragazzina di tredici anni; un omicidio brutale, ingiustificato!
Ho sempre sperato che la mia città trovasse l’onestà morale di ricordare quella bambina innocente (ma quali gravi reati può commettere una tredicenne?), non per giustizia, che ormai chi commise quell’atrocità deve rispondere a ben altro tribunale, ma per un sentimento di pietà; ed ora io avrei sepolto nella mia mente quei ricordi!
Ma ora, dopo oltre sessant’anni, non spero certamente più in una doverosa riabilitazione; e allora affido alla carta la memoria di un tragico evento che mi volle occasionale testimone di quel martirio.
Cercando Valentino
Fu proprio negli ultimi giorni di aprile, quando ormai il conflitto stava volgendo al termine in tutta l’Europa, che di primo mattino vidi arrivare a casa nostra Lina Cuttica alla ricerca di suo fratello Valentino, milite della Brigata Nera, di cui più nulla si sapeva; anzi lei sperava di trovarlo presso di noi.
C’era molta amicizia con tutta la famiglia Cuttica, amicizia nata qualche anno prima quando, ancora ragazzo, Valentino aveva lavorato nel negozio di ferramenta in cui mio padre era rappresentante. Ed io in particolare ero molto legato a Valentino per il suo carattere allegro e la sua indole aperta.
Ora quella gente, disperata per la mancanza di notizie, pensò di rivolgersi a mio padre, come unica persona in grado di cercare quel ragazzo o di sapere qualcosa sulla sua sorte; e lui, generoso e disponibile come fu sempre, con una buona dose di coraggio, decise di cominciare le ricerche là dove venivano fucilati o scaricati da vari luoghi dell’esecuzione, i soldati della Repubblica Sociale (e non solo loro) e cioè contro i muri esterni del cimitero di Zinola. Si parlava allora della «resa dei conti» e tutti avevano capito che mio padre nutriva poche speranze di trovare la Brigata Nera Valentino ancora vivo!
Volle accompagnarlo un boscaiolo che viveva solo in un piccolo alloggio nella nostra scala; era Venturino, un uomo forte e buono, reduce della «grande guerra», che più volte mi aveva affascinato con i racconti di tragiche battaglie dall’altopiano della Bainsizza al San Michele.
Allora era la bicicletta il mezzo più consueto per muoversi e, prima di partire, mio padre mi guardò dicendomi: «Sta vicino a Lina e a tua madre, noi faremo presto!». E soggiunse: «Non fare come il solito di testa tua e soprattutto non ci seguire!». Maledizione! Non avevo abbassato gli occhi in tempo e mio padre, come sempre quando mi guardava, aveva letto il mio pensiero!
Naturalmente la tentazione era troppo forte e, dopo aver aspettato qualche minuto che i due fossero ad una rispettosa distanza, inforcai la bicicletta di mia madre e li seguii.
Piccola martire sconosciuta
La strada correva veloce sotto le ruote della bici; non c’era certo il traffico di oggi, però una lunga fila di grossi autocarri «Dodge» con la bianca stella americana sul cofano e sulle portiere sostava sull’Aurelia, restringendo la carreggiata mentre numerose jeep (allora le chiamavano camionette) sfrecciavano continuamente nei due sensi; era la prima volta che vedevo i soldati americani bianchi e neri.
Ancora oggi mi chiedo come non ci rendessimo conto del pericolo che correvamo nella ricerca di un milite della brigata nera; in quei giorni bastava molto meno per essere ammazzati; ma forse i quotidiani bombardamenti aerei ci avevano abituati al pericolo!
E fu proprio entrando in Zinola che mi accorsi di aver perso di vista mio padre; aumentai l’andatura e, superata la chiesa ed il passaggio a livello, imboccai velocemente la semicurva che portava davanti al cimitero... e trovai mio padre che mi stava aspettando! Mi guardò con quell’espressione severa e triste che mi faceva più male di una sberla, poi disse: «Mi rendo conto che dovremo fare un lungo discorso noi due! Per adesso siediti lì e aspettaci!». Mi aveva indicato il muretto dell’argine lungo il torrente Quiliano e, mentre ubbidivo a quell’ordine perentorio, loro due si avviarono verso una lunga fila di cadaveri.
Ritengo che ancora una volta la curiosità fosse più forte dell’obbedienza e quindi lentamente, molto lentamente, mi avvicinai ai primi corpi di quella fila.
E proprio il primo era un cadavere di donna molto giovane; erano terribili le condizioni in cui l’avevano ridotta; evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane età. Una mano pietosa aveva steso su di lei una sudicia coperta grigia che parzialmente la ricopriva dal collo alle ginocchia.
La guerra ci aveva costretto a vedere tanti cadaveri e, in verità, la morte concede ai morti una distesa serenità; ma lei, questa sconosciuta ragazza no! L’orrore era rimasto impresso sul suo viso, maschera di sangue, con un occhio bluastro, tumefatto e l’altro spalancato sull’inferno.
Ricordo che non riuscivo, come paralizzato, a staccarmi da quella povera disarticolata marionetta con un braccio irrigidito verso l’alto, come a proteggere la fronte, mentre un dito spezzato era piegato verso il dorso della mano. Mi riscosse la voce di mio padre, insolitamente dolce, che mi disse: «Hai visto abbastanza! Ora torniamo a casa!».
Nulla ricordo del viaggio di ritorno, soltanto la voce di mio padre che, rivolto al nostro compagno di viaggio, diceva, riferendosi evidentemente a Valentino: «Se non lo abbiamo trovato tra i morti, speriamo che sia ancora tra i vivi!».
È strano, ma quanto più si invecchia, più si fanno nitidi i ricordi degli anni lontani, mentre non si ricorda la cena della sera prima.
Giuseppina Ghersi
«Speriamo che sia ancora tra i vivi!» Aveva detto mio padre, alimentando una tenue speranza nei superstiti di quella famiglia, speranza che durò soltanto una paio di settimane, quando il massacro del colle di Cadibona, ricordato come «la corriera della morte», assieme ad altre trentasette, anche la vita di Valentino fu stroncata.
Passarono alcuni anni; io avevo cominciato a lavorare; un lavoro che mi piaceva, anche se a volte mi costringeva lontano da casa per qualche settimana; e fu durante una di queste mie assenze che morì una persona cara: Giobatta Vignolo, conosciuto come u «Russu», un vecchio contadino dal quale avevo imparato molte cose, soprattutto saggezza e pazienza!
Naturalmente, appena mi fu possibile, in occasione di un intervallo festivo, volli onorarne la memoria con una visita al cimitero di Zinola. Fu un lungo giro, o meglio un pellegrinaggio, poiché erano già tante le persone a me care che non erano più!
Quando mi avviai all’uscita, passando tra i due campi più prossimi al cancello, notai una coppia che stava sistemando dei fiori su una tomba, fiori che, in parte, coprivano la lapide, ma lasciavano intravedere le date: 1931-1945; mi tornò in mente l’aprile del 45 e... ma non c’erano dubbi: quella data e quell’età corrispondevano alla giovane sconosciuta!
Esitai alquanto, poi chiesi ai due: «È la ragazzina che hanno ucciso a fine aprile?». La donna mi guardò con diffidenza, poi, con voce ostile, mi chiese: «Perché?»; mi resi conto che stavo rivolgendomi ai genitori, persone profondamente ferite, che non avevano mai avuto giustizia (così aveva voluto il dominante terrore politico) ed io, un po’ a disagio, ma senza recedere dal mio proposito, risposi: «Se è lei, io l’ho vista laggiù contro il muro, come l’avevano lasciata dopo averla uccisa!». La dura corteccia di rancore si stava aprendo e, dopo qualche istante, mi dissero: «Vieni pure, noi siamo i genitori».
Ebbi così modo di leggere per intero il nome della lapide: Giuseppina Ghersi.
Parlai brevemente della coincidenza che mi aveva portato a Zinola in quei giorni e, dopo qualche frase di circostanza, mi allontanai. E fu a questo punto che scattò qualcosa, per cui tornai sui miei passi e chiesi se avessero una fotografia di Giuseppina; oggi penso che ciò fosse dovuto all’inconscia necessità di cancellare dal mio ricordo quel giovane volto martoriato. Mi parve di capire che la mia richiesta facesse loro piacere, perché la donna mi rispose: «Io qui con me non ho nulla, però se passi da casa nostra, certamente qualcosa posso trovare». Mi diedero l’indirizzo, ma poiché non potevo fissare il giorno a causa del mio lavoro, promisi che sarei passato da loro in un tardo pomeriggio festivo.
Dopo circa una settimana, come promesso, mi recai all’indirizzo avuto: via Tallone (il numero civico non lo ricordo), una via che oggi ha cambiato nome. Trovai, oltre ai genitori che già conoscevo, anche la zia di Pinuccia; mi accolsero con estrema cordialità, come fossi stato un vecchio amico e, se allora ne fui sorpreso, in seguito compresi l’isolamento che aveva circondato i signori Ghersi, considerati come appestati (e ancora peggio: fascisti) ed in malaugurato caso di incontro, i conoscenti e gli amici abbassavano gli occhi fingendo di non conoscerli! Questo era il clima di paura in quel tempo «radioso»!
La signora Laura raccontò l’allucinante calvario suo e di suo marito: furono dapprima arrestati con la cervellotica accusa di aver avuto rapporti commerciali con i nazi-fascisti (gestivano un banco di frutta e verdura al mercato); si volle inoltre che venisse rintracciata la figlia Giuseppina: «E che diamine! Vogliamo soltanto interrogarla! Che altro possiamo volere da una ragazzina?».
Rassicurati da quella infame menzogna, sempre accompagnati da uomini armati, trovarono Pinuccia in casa di una conoscente e per la giovane fu l’inizio della fine.
Con voce rotta dai singhiozzi la signora Laura continuò: «Io non rividi più mia figlia viva! Ci sequestrarono le chiavi di casa e, mentre noi eravamo in prigione, ci portarono via tutto! Per tutto il periodo della prigionia ogni giorno arrivavano, mi picchiavano, mi minacciavano senza una ragione...».
Il suo pianto accorato creò una pausa nel suo racconto, ed io posi la domanda chiave che era all’origine di quell’omicidio: «Ma perché fu uccisa?».
Mi risposero un po’ tutti, ovvero l’accusa ufficiale era spionaggio, accusa ridicola data l’età della vittima, però la zia azzardò un’altra ipotesi: Giuseppina aveva partecipato ad un concorso a tema per cui ricevette i complimenti dal Duce in persona; poteva essere questo, la sua condanna a morte!
Poi ancora disse che, con molto coraggio, era andata nelle scuole di Legino, diventate per l’occasione centro di raccolta, dove Giuseppina era «detenuta» ed in effetti riuscì a parlarle per pochi minuti: «Era ridotta in uno stato pietoso; mi disse di aver subìto ogni sorta di violenza... (a questo punto tacque per pudore su tante nefandezze che la decenza lascia solo intuire).
Ero sconcertato e, se non avessi visto con i miei occhi l’oggetto di quel martirio, non avrei creduto a tanta ferocia! Comunque osai ancora chiedere: «Nessuno ha assistito alla sua morte?». Mi rispose il signor Ghersi: «Ero io con lei; prima mi hanno preso a pugni e mi hanno colpito col calcio del fucile, perché volevo difendere mia figlia, poi hanno ucciso Pinuccia a calci!». Azzardai una domanda: «Ma non le avevano sparato?». Con voce alterata mi rispose: «Le spararono un colpo alla nuca, ma la mia bambina era morente, o forse già morta!».
Per ciò che ricordo, la mia visita volgeva al termine, ma al momento del commiato, ricordai qualcosa che mi aveva colpito e ancora chiesi: «Scusatemi, ma Pinuccia aveva forse un anello al dito?». Dopo un momento di perplessità la zia della bambina mi rispose: «Si certo! Un anellino d’oro, ma perché me lo chiedi?». Abbassai il capo e mormorai: «No niente, chiedevo così!».
Lasciai quella casa intrisa di dolore e, scendendo le scale, ebbi la sensazione che non avrei più rivisto nessuno di loro; e infatti fu proprio così!
Stava piovviginando quanto uscii in strada; avevo tanta rabbia dentro. Non potevo accettare l’ingiustizia, da qualunque parte provenisse, non potevo accettare l’idea che i criminali fossero da una sola parte; non riuscivo a capire perché, dopo aver eliminato la tirannide si sognasse alla guida del nostro paese, ancora tiranni ugualmente spietati e feroci...
Dal cielo buio una fine acquerugiola mi scorreva sul viso; meglio così per passare inosservato tra la gente!
Molto, molto tempo dopo lessi che forse un poeta, forse un disperato disse che gli occhi velati di lacrime vedono molto lontano...
Ma allora non potevo saperlo.

mercoledì 27 febbraio 2008

La vera storia della Cicala e della Formica


Pubblico questa interessante storiella da raccontare ai vostri figli:

Versione classica:
La formica lavora tutta la calda estate; si costruisce la casa e accantona le provviste per linverno. La cicala pensa che, con quel bel tempo, la formica sia stupida e quindi lei ride, danza, canta e gioca tutta l'estate. Poi giunge l'inverno e la formica riposa al caldo ristorandosi con le provviste accumulate mentre la cicala trema dal freddo, rimane senza cibo e muore.

Versione aggiornata:

La formica lavora tutta la calda estate; si costruisce la casa e accantona le provviste per l'inverno. La cicala pensa che, con quel bel tempo, la formica sia stupida e quindi lei ride, danza, canta e gioca tutta lestate. Poi giunge linverno e la formica riposa al caldo ristorandosi con le provviste accumulate. La cicala tremante dal freddo organizza una conferenza stampa e pone la questione del perché la formica ha il diritto dessere al caldo e ben nutrita mentre altri meno fortunati muoiono dal freddo e fame. La televisione organizza delle trasmissioni in diretta che mostrano la cicala tremante dal freddo nonché degli spezzoni della formica al caldo nella sua confortevole casa con l'abbondante tavola piena di ogni ben di Dio. I telespettatori sono colpiti dal fatto che, in un paese così ricco, si lasci soffrire la povera cicala mentre altri vivono nell'abbondanza. I sindacati manifestano davanti la casa della formica in solidarietà della cicala mentre i giornalisti organizzano delle interviste domandando perché la formica sia divenuta così ricca sulle spalle della cicala ed interpellando il governo perché aumenti le tasse della formica affinché essa paghi la sua giusta parte. In linea con i sondaggi, il governo redige una legge per l'eguaglianza economica ed una (retroattiva all'estate precedente) antidiscriminatoria. Le tasse sono aumentate e la formica riceve una multa per non aver occupato la cicala come apprendista. La casa della formica viene sequestrata dal fisco perché non ha i soldi per pagare le tasse e le multe. La formica lascia il paese e si trasferisce in Liechtenstein. La televisione prepara un reportage sulla cicala che, ora ben in carne, sta terminando le provviste lasciate dalla formica nonostante la primavera sia ancora ben lontana. L'ex casa della formica, divenuto alloggio sociale per la cicala, comincia a deteriorarsi nel disinteresse della cicala e del governo. Sono avviate delle rimostranze nei confronti del governo per la mancanza di assistenza sociale, viene creata una commissione apposita con un costo di 10 milioni. Intanto la cicala muore doverdose mentre la stampa evidenzia ancora di più quanto sia urgente occuparsi delle ineguaglianze sociali. La casa è ora occupata da ragni immigrati. Il governo si felicita delle diversità culturali del paese così aperto e socialmente evoluto. I ragni organizzano un traffico di eroina, una gang di ladri, un traffico di mantidi prostitute e terrorizzano la comunità.


Non so perché ma questa versione aggionata di questa storiella dell'infanzia, mi ricorda qualcosa....

mercoledì 20 febbraio 2008

Che tristezza la mia vecchia Firenze


di Marcello Fusi

Alcuni giorni fa partecipai ad una riunione presso un circolo culturale in Firenze. L'argomento era "il futuro della città", presenti alcuni noti politici dell'area fiorentina, fra i quali anche un Europarlamentare. Quest'ultimo con dotta eloquenza, ci disse, senza tanti complimenti, che Firenze era ormai una città di vecchi poco propensi a pensare al futuro, troppo ancorati ad un passato che impedisce loro di rinnovarsi scrollandosi di dosso palazzo Pitti, L'Accademia, gli Uffizi, ecc. A Strasburgo, parole sue, la tranvia passa in pieno centro storico e nessuno ha da ridire. Egregio onorevole, non sono d'accordo: I vecchi fiorentini piagnoni, come Ella li definisce, sono solamente delusi per l'immagine della loro città, sporca, assediata da un turismo di massa usa e getta, piena di venditori abusivi che irrorano le belle strade del centro storico con i loro tappetini colmi di mercé più o meno contraffatta, piena di pizzerie e fast-food, di brutti ceffi e prostitute che girano di notte, e così via! Per questo rimpiangono la Firenze di un tempo e, anche se comprendono che il passato è passato e che occorre rinnovarsi, non piace loro il presente: pensano forse che, se questo è e sarà il "nuovo", non resta che rimpiangere il "vecchio".
lo sono uno di questi, nato a due passi da Piazza Della Signoria.
Ero là, stretto al collo di mio padre, quella notte maledetta che saltarono i ponti e Por Santa Maria e la vecchia casa ballava come una trottola; ero là quando, col cuore in tumulto, ascoltavo di notte il suono pesante e cadenzato degli stivali della ronda tedesca che passava sotto casa; ero là quando i carri degli "alleati" passarono da via Del Corso (che, per la verità, stava loro un po' stretta) per andare in Piazza Della Vittoria, oggi Piazza Della Repubblica.Poi, piano piano, la lenta rinascita di Firenze, colma di macerie e di dolore. Ricordo L'Arco di San Pierino, oggi teatro di ben più tristi personaggi, dove, a sera, suonava la "Pippolese", celebre complessino di amene e pittoresche figure di Borgo Allegri, Via de Macci e dintorni. Ricordo quel giorno quando si abbassarono le saracinesche del "48" oggi "COIN", durante il funerale di mio padre. Era un vecchio mondo "becero" ma vivo ed umano, dove ti sentivi bene e dormivi sonni tranquilli.
Poi i giorni dell' alluvione quando, con i vecchi di oggi, mi sono rimboccato le maniche per pulire il marasma lasciato dall'Arno impazzito. Già, ricordo un giorno, via Cavour piena di fango e nafta puzzolente, tanta gente con stivali di gomma, che spalava il fango imprecando. Davanti proprio alla prefettura si fermò una camionetta verde con sopra il Presidente Della Repubblica e relativo codazzo; un vero putiferio! Qualcuno alzò gli occhi e disse: "O sor Presidente, la torni a Roma che qui noi s'ha da fare!" Questi personaggi burberi ed arcigni sono i vecchi di oggi, quelli che non sopportano più l'assordante silenzio degli amministratori di Palazzo Vecchio che, con i loro grossolani errori, tentennamenti e liti politiche senza fine, non sono riusciti a fare qualcosa di positivo per il bene e la crescita della città.
Che tristezza e che voglia della mia vecchia Firenze.

lunedì 18 febbraio 2008

A Firenze si moltiplicano solo gli sprechi

di Simone Innocenti (da L'espresso)
Progetti sbagliati, forniture gonfiate di materiali, architetti che si distraggono. Così sono stati buttati via 10 milioni. Ecco l'accusa delle Fiamme Gialle

Firenze canzone triste. Perché sarebbe bastato poco per incidere senza traumi nel tessuto storico del gioiello del Rinascimento, sperimentando metodi finanziari d'avanguardia nel gestire opere moderne con pareti di cotto per fare la pace con la storia. Il tutto sulla carta nel segno del buon governo. Peccato che dai cantieri sia spuntato qualcosa di molto diverso dalla città ideale. Con una serie di sprechi, di sospette malversazioni e di pacchiane superficialità che sembrano testimoniare una gara al peggio tra tecnici e amministratori comunali. Il rapporto delle Fiamme Gialle incaricate dal procuratore capo della Corte dei Conti Claudio Galtieri di fare luce sulle spese folli del piano di costruzioni comunali è un documento sorprendente: una parata di assessori distratti o incompetenti, architetti superficiali o spregiudicati, supervisori addormentati e controlli inesistenti. Quelle passate ai raggi X dai finanzieri dell'allora Gruppo servizi vari diretto dal maggiore Stefano Saletti sono due opere ormai tristemente famose, il sottopasso di viale Strozzi e il parcheggio sotterraneo della Fortezza da Basso, diventate un simbolo della 'Firenze bella addormentata' che non riesce a concretizzare i suoi sogni di sviluppo. Due opere che dovevano far parte di una rosa di interventi molto più larga, che ha però perso un pezzo dietro l'altro. E che doveva servire da prova generale per quella contestata rivoluzione cittadina delle tramvie. A leggere i risultati degli accertamenti sui costi, in città sono tanti gli amministratori a dormire sogni d'oro. Secondo il dossier nella realizzazione dei due progetti il Comune avrebbe buttato via oltre 10 milioni di euro: denaro sprecato per correggere errori grossolani nei disegni, per rettificare previsioni approssimative o addirittura abbattere strutture che strada facendo si sono rivelate mostruose. E c'è anche di peggio. Perché quando i militari del Nucleo di polizia tributaria hanno dato un'occhiata al famigerato sottopasso sono rimasti perplessi. È bastato fare i 'conti della serva' per capire che anche in superficie le spese non quadravano. È 'il miracolo di sanpietrino' con la moltiplicazione delle mattonelle e delle travi. Prendiamo le lastre in pietra Santa Fiora, un materiale richiesto dalla soprintendenza per limitare l'impatto della costruzione. La ditta fornitrice ne ha fatturati 2.416 metri quadrati; i responsabili dell'opera invece ne hanno fatti pagare al Comune 2.792. Un giochetto che, secondo i finanzieri, sarebbe costato ai cittadini 130 mila euro. Ancora più grave sarebbe la 'cresta' sulla pavimentazione in porfido, che lievita nel transito dalle fatture al contratto finale: dal momento della consegna i cubetti di porfido misteriosamente si dilatano. Un sistema che avrebbe permesso ai costruttori di intascare 158 mila euro di troppo. La fantasia prosegue anche con le travi che sostengono il tetto, che sulla carta assumono dimensioni ben più grosse del reale. I finanzieri le contano e le confrontano con la superficie fatta saldare al Comune: anche qui 167 mila euro di troppo. Persino nella bonifica dei terreni dai residuati dei bombardamenti di guerra la spesa esplode: 71 mila euro non dovuti. Insomma, sarebbe bastato fare quattro calcoli da geometra neodiplomato per scoprire una lista gonfiata per circa mezzo milione di euro. Senza mettere il naso in una innovazione tutta fiorentina che supera la creatività meridionale in fatto di appalti. Perché se un tempo dominava il famigerato adeguamento in corso d'opera, che faceva ingigantire i costi dei cantieri, sulle rive dell'Arno hanno invece inventato l'adeguamento a cose fatte: le spese extra, sottolineano i finanzieri, saltano fuori persino dopo l'apertura al traffico del sottopasso. Al centro di tutto il tentativo di usare il project financing, una rivoluzione nella gestione degli appalti, che avrebbe dovuto garantire consegne chiavi in mano senza sorprese di dubbia origine. Per questo tutto viene assegnato al consorzio Firenze Mobilità, incentrato sul colosso locale Baldassini-Tognozzi-Pontello.
Il risultato invece, secondo l'inchiesta, è l'opposto delle buone speranze di partenza. La conclusione? Nessuno controllava l'attendibilità degli importi richiesti dalla società a cui era affidata la costruzione. Non esisteva nessuna contabilità dei lavori: si andava avanti alla cieca. I finanzieri sono chiari nel definire le responsabilità erariali. L'architetto Gaetano Di Benedetto, numero uno della direzione urbanistica del Comune, viene indicato al primo posto. Lo segue l'assessore Tea Albini, che ha gestito la parte finale del piano finanziario delle opere. Ma tutta la giunta ha avallato nel silenzio le spese folli del sottopasso: tutti si sono limitati a sancire 'l'indirizzo politico' senza nemmeno chiedere lumi sui costi extra. Il sindaco Leonardo Domenici, il vicesindaco Matulli, gli assessori Coggiola, Nencini, Bevilacqua, De Siervo, Siliani Gori, Biagi, Del Lungo, Lastri e quel Graziano Cioni, celebre per l'ordinanza sui lavavetri,si sarebbero accodati con un comportamento che, per gli inquirenti, non è solo negligenza, ma anche una colpa grave nel non difendere il denaro pubblico. Ovviamente ce n'è anche per il direttore dei lavori. Il danno provocato dalla mancanza di controlli? Tre milioni e 187 mila euro.
L'assedio alla Fortezza da Basso invece ha aspetti tragicamente fantozziani. Il cantiere con parcheggi sotterranei, negozi e uffici parte e comincia a spuntare in modo minaccioso dal sottosuolo, facendo ombra ai bastioni del Sangallo. La città insorge: non erano questi i piani. L'opera viene fermata e si decide di demolire quelle costruzioni uscite fuori come funghi dal terreno. Ma neanche il secondo tentativo fa centro nel rispettare il contesto antico. La prima visita ai lavori mostra faraglioni di cemento armato che inorridiscono cittadini e assessori: nuova interruzione ordinata personalmente dal sindaco, altra revisione dei disegni. Strada facendo, il costruttore ha dovuto rinunciare a parcheggi da vendere e uffici da affittare oltre ai costi delle demolizioni. Totale: a carico del municipio ci sono 6 milioni e mezzo di euro di spese in più. Che secondo le conclusioni della Finanza andavano evitate.
La colpa, secondo gli investigatori, è dei tecnici di Soprintendenza e Comune. Nessuno si è preoccupato di verificare se i progetti rispettavano le indicazioni per salvaguardare la Fortezza medicea. Ci sono architetti che candidamente ammettono di essersi fidati della buona fede del costruttore e di avere controllato solo sull'estetica dei giardini. Sì, proprio così: mentre si innalzavano cubi di calcestruzzo l'attenzione era tutta per le armonie del parco. Così come gli esperti della Commissione edilizia che non si erano accorti delle strutture. Scriveva nel 2005 Antonio Paolucci, un'autorità dei beni culturali: "La questione della Fortezza sta diventando ogni giorno più imbarazzante". E invocava: "Nessuno che abbia un minimo di pudore può sostenere quel progetto". Il fatto triste è che i fiorentini hanno pagato due volte quegli errori. Perché per far fronte agli sbagli, il Comune in parte ha tirato fuori soldi cash, in parte ha rinunciato ad altre opere già finanziate. Come il parco fluviale del Mensola, 75 mila metri quadrati di verde attrezzato dissolti nel nulla.

giovedì 14 febbraio 2008

Cambio di rotta


Lo sapevo, gli argomenti dei post precedenti non sono stati un gran successo. Mi illudevo di trovare un pubblico più sfrontato e sincero, ma non avevo fatto i conti con il nostro retaggio culturale, che, anche se nascosti, ci impedisce di manifestare il nostro pensiero su determinati argomenti.

Va beh! "...poi sconfitto tornavo a giocar con la mente e i suoi tarli..." diceva Battisti... In effetti tarli nella testa ne passano molti, e l'osservazione del comportamento delle persone, fa capire come quanto sia difficile interagire con gli altri, anche all'interno del nostro rapporto di coppia. Ieri sera era San Valentino, la festa degli innamorati. Come sempre, dotato di arte canora, mi sono trovato a fare il menestrello in un ristorante, e dall'altro della pedana si possono notare tante sfumature su chi ti è seduto di fronte. Ma cosa è effettivamente l'amore? Due consonanti tra tre vocali? Ci sono stati due fatti che mi hanno colpito nella giornata di ieri. Il primo legato alla mancata presenza di una mia cara amica che aveva promesso di esserci (si narra che sia una mia fan) ma che non se l'è sentita poi di venire perchè era sola. Ora mi domando: ma fa così paura la solitudine? E' proprio necessario riempire quella seggiola vuota perchè non siamo in grado di cenare da soli? C'è una paura del giudizio degli altri di questa immagine da sfigati? Per quello che vedo, io credo che ha volte sia meglio farsi vedere da soli, che in compagnia di una persona che porti fuori solo per un evento commerciale, per poi ritrovarsi al tavolo privi di espressione, senza neanche la complicità degli sguardi o dei gesti... A volte lo stare soli serve per fare un punto della vita, serve per capire cosa ti manca veramente, serve per capire se lui o lei che in quel momento non ci sono ti mancano veramente, oppure sono solo occupanti di un posto di fronte a te... Cara amica, potevi essere li anche da sola, ma comunque ci sarei stato io con il mio percorso musicale ad accompagnare la tua serata, in fondo eravamo soli entrambi, io con le mie canzoni, te con i tuoi pensieri... L'altro fatto invece, ma ha fatto capire che l'amore regna nei gesti delle persone che ci vogliono bene, come il gesto di una ragazza di portare una rosa all'amica malata e di passare insieme questa serata che non è deputata solo all'amore eterosessuale, ma anche all'amicizia, fenomeno sempre pù raro in questa società di "conoscenze". Due fatti, due storie, che vivono nelle nostre città, sempre più tecnologiche, ma anche sempre più sole, con la spasmodica ricerca dell'aggregazione a tutti costi, per paura di perdere quel treno...
Ero anch'io così, tanti anni fa... Poi qualcuno da lassù ha deciso che la mia vita cambiasse... ed è cambiata!!! Ma conservo sempre quell'angolo dove ripongo i miei sogni, i miei segreti, le mie paure, le mie gioie. E voi cosa conservate in quell'angolo vicino al vostro cuore?

domenica 27 gennaio 2008

Eros, fantasie e dintorni....

Vorrei concludere questo ciclo di confessioni "segrete" con il mettere a nudo quelle che sono le nostre fantasie, le nostre voglie, i nostri segreti, le domande che non osiamo fare, ma che alle quali vorremmo delle risposte.... Si lo so, sono dei segreti, ma per fortuna oggi il web ci permette anche di essere anonimi senza con questo voler per forza celare al mondo i nostri pensieri, che magari se espressi qui, si possono materializzare in forma virtuale e viaggiare nelle fantasie degli ospiti... Essendo io il "proprietario" del blog mi toccherà fare gli onori di casa mettendo a nudo quelle che sono le mie fantasie... Il lettore o la lettrice (meglio!) non si lasci trarre in inganno dalla mia esposizione dei fatti, ma bensi leggendo e commentando, possiamo fare un pò di luce sui tanti tabu che ci circondano quando ci troviamo al cospetto di amanti occasionali o peggio nel letto del nostro partner... Frequentando da più di un decennio il web, ho potuto vedere dove le fantasie delle persone potessero ad andare a cadere, senza per questo giudicare, ed ho trovato un mondo così vario che mi è venuto da dire: "Maremma come siamo strani!!". Si perchè la fantasia erotica ha una sua personalità ed è molto individuale. Pensate alla miriade di accessori che vendono i sexy shop, pensate alle centinaia di filmini pornografici che raccontano un amplesso fatto nei modi più disparati... Eppure il gesto "dell'innesto" è unico, però quanta fantasia nel prepararlo... Credo che la mia prima fantasia erotica me l'abbia fatta scattare la Prof di italiano alle medie, una bella signora con la gonna a tubo e due gambe niente male che uscivano dal sotto della scrivania... A tutt'oggi le gambe, le calze e le scarpe, rappresentano ancora quella scintilla che mi fa risvegliare l'ormone, che comunque mi fanno notare la sensualità di una donna. Il sandalo estivo elegante che slancia il piede verso l'alto, e quella lucida pelle che definisce i muscoli delle gambe fino ad arrivare all'inizio della gonna che prosegue trasformandosi in camicetta fino all'ambito scollo, mai volgare, ma che ti risucchia lo sguardo... E' una magica alchimia che non puoi spiegare... Un giorno un caro amico descrisse questo momento in una bellissima poesia che è diventato un pò un inno per noi che abbiamo fantasia da vendere...
Ella passa
e nulla intorno
può distogliere il mio sguardo.
Oggetto che natura creò
per essere amato...desiderato..
Consapevole di ciò
avida si nutre dei miei sguardi
Vorace la miro...
ma sempre ne è affamata...
Dunque cibati del mio bramare
che quando sazia sarai
de'miei pensieri osceni
pago cadrò
morendo di fame...
Ecco, la vera fantasia, il vero pensiero erotico... Ma se la giovane passante si ferma e ricontraccambia lo sguardo, icchè gli si dice? Siamo veramente pronti per un "ti leccherei dalla testa ai piedi (Amici Miei)?" Eppure se ci fate caso non chiedamo mai al patner un qualcosa di specifico... Di solito battiamo sentieri conosciuti, difficilmente riveliamo una nostra voglia sessuale... Facciamo dei timidi tentativi di approccio, cambiamo posizione, ma senza la complicità di entrambi rischiamo di essere goffi e a volte anche fatidiosi... Eppure basterebbe un non nulla per amplificare ancora di più il piacere reciproco, semplicemente dichiarando la propria fantasia, aprendo le porte di noi stessi verso l'altro, fornendo chiavi per aprirsi e condurci verso stanze inesplorate.... La mia fantasia sessuale è la donna libera di esprimere il proprio erotismo, nel vederla vestita, nello spogliarla, nell'offrirgli il mio corpo come oggetto del suo piacere, nel banchettare con i nostri sapori, nella timidezza di un gesto... A meno che non tiri fuori un frustino, tutto ciò è lecito nel gioco dell'amore, perchè comunque di amore si tratta e facciamola finita una buona volta con il sesso! L'unione di due corpi non è sesso: è complicità, è scoperta, ed anche se il nostro amante è occasionale, è meritevole delle nostre migliori attenzioni, altrimenti possiamo fare benissimo da soli, evitando una perdita di tempo inutile... Quante volte siamo tornati a casa con un ricordo mediocre? Non vi è mai capitato? Bugiardi!! Che cosa vi piace o vi piacerebbe ricevere o fare al vostro partner? Cos'è quella cosa che scatena la fantasia erotica durante un aperitivo mentre guardate una ragazza/o? Vi sto aspettando senza veli, o forse non siete ancora pronti/e per parlarne dalle pagine del cyber spazio?

sabato 12 gennaio 2008

Il destino di ogni uomo

Pubblico un bellissimo articolo apparso su "il Giornale" di oggi. Diciamo che lo condivido a metà, forse perchè sono un uomo, forse perchè è vero... Aspetto i vostri commenti blogger, sopratutto quelli di Aquila e D, ma aspetto anche il tuo, eternauta maschio, che, celandosi sotto un nick name, potrai dire la verità se le donne possono zittire veramente un uomo.
di Vittorio Macioce
È il destino di un uomo, di ogni uomo. Non importa il nome, la carica, i soldi, il blasone. Non importa nulla. Accade. Tu fai lo scemo, parli, straparli, ammicchi, cerchi l’applauso, sbrodoli. Lei ti guarda, vedi il taglio della bocca che quasi scompare dal viso. È una linea sottile di rabbia e fastidio. Occhi duri. Tu, chiaramente, non ti accorgi di nulla. Continui a ridere e a parlare. Lei si muove con uno scatto improvviso. E ti smorza, magari con un calcio sotto il tavolo, con un ringhio, con una parola, o con un foglio, una penna e una scritta che dice: chiudi il becco. E il tuo cabaret sprofonda nel gelo.È questa la lezione che arriva da Gerusalemme. Capita, capita a tutti. Anche a uno che si chiama George W. Bush e di mestiere, ancora per un po’, fa il presidente degli Stati Uniti d’America. È una legge senza eccezioni. Anche l’uomo più potente della terra troverà una donna che lo zittirà. Muto, come Adamo con Eva. Ridicolo. Piccolo. Castrato. In questo gioco la donna vince sempre. E non importa che sia tua moglie, o l’amica, l’amante, la compagna di banco, la tua segretaria o il tuo segretario di Stato. La donna, femmina e madre, non ha bisogno di un ruolo per far tacere il maschio. È il destino. È il cromosoma che si ripete in una storia antica. Dicono che anche il divino Cesare restasse muto di fronte alla sua Servilia, amante e amica, madre di Bruto e sorella di Catone, perfida consigliera politica. Bush a Gerusalemme, davanti a Olmert e al gruppo di commensali, legge il bigliettino di Condoleezza e il suo volto frana. Se lo rigira tra le mani, allarga le braccia e mascherando l’imbarazzo in un sorriso sospira: «Mi dice di chiudere la bocca». Tutto si stempera in una grassa risata. Ed è qui la differenza, la condanna biblica dell’uomo. L’uomo più potente della terra troverà una donna che lo farà tacere: nel gelo. Una donna, no. La donna più potente della terra non avrà limiti. Nessun uomo avrà mai il coraggio di dire: stai zitta.

lunedì 24 dicembre 2007

Ciao 2007...


Odio dover fare dei resoconti, sopratutto a Natale perchè con la festa dell'albero viene sancita anche la fine dell'anno. Ricordo un giorno di Maggio quando stavo contemplando il calendario, e Dicembre era così lontano. Poi un bel giorno ti svegli, metti la mano sul termosifone che è acceso, e ti accorgi di essere già alla fine dell'anno, e quel giorno di primavera un lontano ricordo...

Motivi per postare ce ne sarebbero tanti, come il più classico "che il 2008....", ma vorrei rimanere sul generico, affidandomi alla mia fervida fantasia, al pensiero che scende mentre scrivo, mentre fuori c'è l'atmosfera tipicamente invernale, con l'acquerugiola che scende, i cappotti ben indossati, e i preparativi per l'arrivo del Natale. Oltre le nuvole c'è sempre il sereno, il cielo azzurro che ti attende, quando a bordo di un areoplano, attraversi lo strato di nubi per sfociare nel cielo più limpido e terso che tu abbia mai visto. Guardando i raggi che rimbalzano sulla carlinga, o sugli oblo, ti dimentichi del grigio che hai lasciato, del brutto tempo, dei temporali, e voli sopra tutto e sopra tutti, con la certezza che domani è sempre un giorno nuovo...

Io mi sento sempre in volo, e vedo sempre il cielo, ed anche se ogni tanto c'è qualche vuoto d'aria, so che il viaggio continuerà, e niente potra impedire ai raggi di splendere...

Ma non sono solo... Accanto a me ci sono altre persone che vanno nella mia stessa direzione, e ad ogni scalo che faremo, mi auguro che ci sia qualcuno ad attenderci e a salire a bordo, in questa fantastica avventura che è la vita!

Buone Feste Internauti e viaggiatori...

martedì 4 dicembre 2007

Perchè odio il calcio

1982. L'anno dei mondiali Italia-Germania 3 a 1, ma anche l'anno dello scudetto perso dalla Fiorentina all'ultima partita. Non voglio stare a rimembrare i perchè e i per come, fatto stà che quell'episodio segno la fine della mia carriera da supporter della squadra di calcio cittadina. Sono passati 25 anni, e comunque non ho mai smesso di buttare un occhio ai risultati della domenica, ad ascoltare le gesta di Baggio, Batistuta, Rui Costa, e tutti i grandi che sono passati, veri campioni indipendentemente dalla maglia. Certo per un tifoso, quando un campione se ne va dalla squadra viene considerato traditore, al pari della moglie con l'amante, se non peggio... ma ho sempre visto lo sport professionistico come gesto assoluto, il top delle performance dell'individuo, nel calcio la Serie A, o la Champions League, dove si sfidano le squadre al top della categoria. E allora, maglia a parte, perchè non andare a vedere giocare Van Basten, Platini, Dunga, Zola, Zidane, Del Piero, Totti, Antognoni, veri e propri artisti del pallone, veri fuoriclasse che danno al calcio l'aspetto più bello, più elegante...
Ma per il tifoso questo non conta. Una bella partita di calcio viene sempre rovinata da cori e striscioni ingnobili. Eppure "Striscia la notizia" insegna che gli sfottò sono anche carini, un fenomeno di costume, e noi toscani, modestamente, non ce la caviamo male. Eppure gli stadi sono un arena per lo sfogo dei più bassi istinti, tutti a urlare, inveire, offendere, e non un luogo dove portarci il bambino di sei, dieci anni, per passare un pomeriggio allegro in compagnia. Mi vengono a mente i ricordi americani quando andai a vedere una partita di football a Miami: 80mila persone dentro lo stadio tutte a sedere, in maniera composta, chi per una squadra, chi per un altra, pop corn, hot dog, cappellini, sciarpe, e poi alla fine tutti a casa vincitori e sconfitti, senza per questo scannarsi, perchè comunque alla fine il risultato non cambia.
Domenica scorsa (02/12/2007) a Firenze, nella mia città, dentro lo stadio, alla fine di una partita è successa una cosa veramente degna di nota, per la quale merita questo post e la riflessione di tutti noi. Dopo una sconfitta netta per 2 a 0 con l'Inter, la dirigenza della Fiorentina (presumo) a fatto fare il "terzo tempo", un gesto che si usa nel rugby, dove la squadra di casa, crea due ali di giocatori che fanno da corridoio alla squadra ospite per uscire dal campo. Un gesto bellissimo che sancisce la fine delle ostilità, la fine degli scontri, dei contrasti, e che manda tutti negli spogliatoi d'amore e d'accordo, o comunque felici, altri un pò meno, di questa giornata sportiva. Tutto bello, tutto troppo bello, anche perchè ultimamente il calcio non stà passando un bel periodo, fino alla sera, quando la FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) fa sapere che c'è prevista una multa per "gesto non autorizzato". Dico stiamo scherzando?!?!?!?!?!?!?!? Gesto non autorizzato?!?!?!?!? Quando nella stessa domenica sono stati presi a sassate pulman di tifosi, sedati tafferugli da altre parti, questo è un gesto non autorizzato?!?!?!?!?!? I sassi sono autorizzati?!?!?!? Il calcio vive sul filo del rasoio, per andare alla partita ci sono più cancelli che per entrare in carcere, ed ora che una società si prende la briga di stemperare i toni, nonostante la sconfitta, di far vedere che il calcio non è violenza, la FIGC la multa, legalizzando di fatto tutti gli atti criminosi che ogni domenica si vedono alla televisione. Mi auguro vivamente che le prossime domeniche tutte le altre società di Serie A facciano altrettanto dando un segnale forte ai burocrati del calcio, i veri delinquenti, perchè non c'era un premio da dare alla Fiorentina, ma neanche una multa ingiusta, che non fa altro che gettare benzina sul fuoco.
Ecco perchè odio il calcio!

lunedì 26 novembre 2007

Empatia e simpatia

Tratto da Wikipedia

Nell'uso comune, è l'attitudine ad essere completamente disponibile per un'altra persona, mettendo da parte le nostre preoccupazioni e i nostri pensieri personali, pronti ad offrire la nostra piena attenzione. Si tratta di offrire una relazione di qualità basata sull'ascolto non valutativo, dove ci concentriamo sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell'altro.

Prendo spunto da un commento per trattare un argomento che, come parola singola (empatia) non dice un gran che, ma leggendone il significato, forse qualcuno si rispecchierà. Certamente l'anonimo commentatore del post precedente che ha fatto uso di tale parola, è un conoscitore della lingua italiana, ma subito dopo è stato "pizzicato" da un altro anonimo con l'appellativo di essere "un pò rigido" (leggeteveli perchè sono molto carini ndr). L'associazione della parola e dell'appellativo mi ha fatto riflettere, proprio perchè l'empatia è il contrario della rigidità, anzi bisogna tendere ad ascoltare gli altri più che noi stessi. Ma quante volte abbiamo creduto di essere "empatici" quando in realtà stavamo solo aspettando una buona occasione? Quello che stavamo facendo era in realtà essere simpatci... La simpatia nasce quando i sentimenti o le emozioni di una persona provocano simili sentimenti anche in un'altra, creando uno stato di "sentimento condiviso". E' un pò il sale dei rapporti personali del nostro tempo, tendiamo molto alla condivisione di attimi felici, attimi tristi (simpatia è anche questo) e sopratutto momenti di estremo godimento. Difficilmente però ci soffermiamo ad ascoltare gli altri senza metterci del nostro, senza commentare senza salire in cattedra. E allora nel goffo tentivo di essere ascoltati tendiamo ad ascoltare, senza in realtà capire molto, sperando di ricevere quello che abbiamo appena dato, ovvero una spalla su cui sfogarsi. Ma in questo modo le conversazioni diventano una sorta di "se tu dai una cosa a me...".
Come esperienza di vita posso dirvi che ho imparato molto ascoltando, osservando, facendo tesoro di quello che assimilo dall'esterno per poi confrontarlo con il mio io, stilando un profilo che non sempre può piacermi, ma che mi può suggerire se la direzione che ho intrapreso è quella giusta. Le stesse pagine di questo blog possono essere considerate "empatiche", cerco di partire dai miei pensieri, da un fatto a cui posso aver assistito il giorno prima, e le offro al lettore che per caso capita a leggerle, offrendogli un motivo di riflessione, un punto da cui partire per farsi delle domande, se mai ancora non se le fosse poste... I commenti stessi poi, conservando l'anonimato, aiutano a scrivere qualcosa senza bisogno di dire chi siamo, ma più semplicemente cosa proviamo. Non voglio dare risposte, voglio solo condividere le vostre "anonime" emozioni, perchè è così che ho imparato ad ascoltare. Le persone la fuori sono come un grande libro su cui leggere ed imparare. E' come andare in libreria, anche se cerchi un romanzo, o un libro di narrativa, ti soffermi comunque a leggere i titoli di altri libri, e magari incuriosito gli sfogli, e uscendo ti accorgi che non hai comprato un romanzo, ma un bel libro di storia o fantascenza, perchè solo dopo averlo aperto hai capito che ti poteva piacere... Leggiamole di più le persone che incrociamo nella vita, non soffermiamoci alla copertina, accettiamo quel che la vita ci offre in quel momento, magari è una strada corta, ma la dobbiamo passare per andare in un viale alberato... Lascio questo post con un frase non mia: se ci hanno fatto due orecchie e una sola bocca significa che bisogna più ascoltare che parlare, non credete?

lunedì 19 novembre 2007

Meglio soli o...

...mal accompagnati? Non so chi abbia detto la precedente frase, sicuramente qualcuno che, vistosi al perso, ha fatto qualcosa senza rimpiangere di essere solo. La solitudine al giorno d'oggi è meno marcata, meno visibile, ma vi garantisco che, in senso assoluto, pervade ancor'oggi la nostra società. Strumenti come le chat (non il gatto!), sms, mms, che vanno così alla grande, fanno emergere che il dialogo, nonostante i tempi di una grande comunicazione, sia ancora lo scoglio più duro da affrontare. "Ci siamo incontrati online", "ti ho agganciato con il bluetooth", "l'hai letto l'sms?", ormai sono i nuovi termini che hanno preso il posto della rosa, del piccione viaggiatore, del messaggero, che a cavallo portava la missiva del principe alla sua amata. Eppure c'è ancora qualcosa che mi sfugge... Non so se vi è capitato anche a voi, ma nei luoghi dove ci ritroviamo, ad esempio per un aperitivo, in un locale notturno, sembra che tutti parlino con tutti, ma nessuno veramente si capisce. Risate a crepapelle, baci e abbracci, facce felici, mai espressioni sobrie, gesti poco appariscenti, un bel baciamano... un pò come l'ultimo dell'anno: bisogna per forza divertirsi, e non succede quasi mai! Possiamo parlare della morte del dialogo? Non credo, i mezzi di comunicazione moderni dimostrano il contrario, c'è più una paura a rapportarsi con gli altri nei temi che più ci stanno a cuore, parliamo di macchine, orologi, dell'ultimo telefonino, del gossip, e i programmi all Maria de Filippi fanno emergere questo: bella gioventù vuota come una zucca di Halloween.
Perchè comunicare al di fuori delle effimeratezze è così difficile? Forse perchè abbiamo paura di crescere, o di prendere decisioni importanti che ci sconvolgono la vita... Nel dialogo a due non dobbiamo aver paura di rivelare un particolare intimo di noi stessi, non dobbiamo tenerci dentro quel che di buono e apprezzabile possiamo avere, perchè sono i nostri desideri, le nostre paure, le nostre gioie a rivelare parte di noi stessi. Io, per esempio, non accetto di avere 42 anni, ne tantomeno essere considerato un uomo: preferisco venir definito un eterno ragazzo, ma non per questo mi comporto in maniera superficiale. Ho formato una famiglia dall'oggi al domani, senza preoccuparmi del dopodomani, ho vissuto attimi nel momento stesso che li vivevo, e non pensando al dopo... La solitudine vera nasce dalla ricerca spasmodica di non stare soli. Provate una sera a dedicarvi a voi, nel silenzio delle vostre stanze, a guardare un bel film, a prepararvi una cena, a parlare con il gatto, a bere un bel bicchiere di vino... Vi accorgerete di avere dentro una persona al quale non avete mai dato ascolto, eppure quella persona siete voi, nel vostro lato più vero... e non quello che "indossate" quando uscite, nel goffo tentativo di piacere agli altri. Scartiamo a priori i belli dentro e i brutti fuori per poi trovarsi a logorarsi in discussioni sterili... rimpiangendo chi bello non era ma che tante emozioni dava...
Ma è proprio vero che siamo così occupati ad apparire non pensando a dar voce al solitario che c'è in noi?

venerdì 16 novembre 2007

Ciao Nonno Giuseppe

Pubblico un articolo dell'amico Cristiano Gatti, su di un fatto di cronaca accaduto 8 mesi fa, ma passato in sordina. Lascio a voi le riflessioni del caso, ma permettetemi un saluto a nonno Giuseppe, che non conoscevo, ma che sicuramente non meritava una fine così nella SUA italia, per la quale aveva combattuto e lavorato.
Seviziato dai romeni muore dopo un calvario di 8 mesi
articolo di Cristiano Gatti
Si può dire sia finita la lunga agonia, non che il valoroso nonno di campagna riposi finalmente in pace. Non c’è pace, non ancora. Quando i compaesani cominciano ad arrivare in cascina Betulla, tutti quanti con la giacca scura e le scarpe buone, e mentre già in chiesa il parroco comincia a prepararsi con i chierichetti per il funerale, ecco arrivare sull'uscio di casa un'auto dei carabinieri. È già passata l'una, il funerale è fissato per le tre. I militari sono imbarazzati, ma devono compiere la loro missione. Sono qui a dire che il funerale non ci sarà, almeno per ora: il magistrato ha disposto altri accertamenti. Vuole capire se nonno Giuseppe sia davvero morto per le mazzate vigliacche di quella terrificante rapina in casa, la sera del 28 febbraio. La legge ha bisogno di perizie e di riscontri scientifici. Ma il giudizio popolare va molto più per le spicce, limitandosi a porre una domanda semplicissima: questo poveretto ha trascorso gli ultimi otto mesi della sua lunga e tribolata vita dentro e fuori dalla rianimazione, davvero qualcuno adesso può pensare sia morto di morte naturale, sereno come un angelo, per sopraggiunti limiti d'età? Mentre il parentado mormora davanti alla sua povera salma, in attesa che i carabinieri vengano a riportarsela via, sono molti i pensieri che sorgono spontanei. Il primo è doverosamente rivolto alla nostra strana sensibilità collettiva, che libera rabbia e sdegno a gittata variabile: per certi delitti, edizioni straordinarie e serrate nazionali, emergenze di governo e provvedimenti di massima urgenza. Per nonno Giuseppe, tutt’al più, solo un poco di pietà. Come se morire a 88 anni, dopo otto mesi d'agonia, per i colpi di mazza presi nella propria casa, sia in fondo meno increscioso e meno choccante che morire in un viottolo buio della periferia romana, per mano di un selvaggio spietato e senza Dio. No, non esiste. Tutte le efferatezze di quest'epoca violenta dovrebbero avere uguale risalto e uguale sdegno. Nonno Giuseppe è martire quanto la signora Reggiani, e anche quanto il medico milanese soffocato dallo scotch nel letto di casa. Questo nonno ha una storia perfettamente italiana, di quell'Italia grande e fiera che ci ha regalato benessere, comodità, pace. Basterebbe sfogliare il suo album di famiglia, per scoprirlo uguale agli album che tante famiglie ancora conservano nel cassetto del tinello. Il bambino Giuseppe (classe '19) che va subito a lavorare nei campi. Il ragazzino Giuseppe che deve partire per la guerra. Il soldato Giuseppe che torna sette anni dopo, stremato e piagato, miracolosamente scampato alla Sacca del Don. E poi l'italiano Giuseppe, che non si perde in lamenti e piagnistei, ma si rimbocca subito le maniche e fa ripartire il suo Paese. Il fidanzato Giuseppe che finalmente sposa l'amata Maddalena, e con lei sforna otto figli, quattro maschi e quattro femmine, perché una volta l'incertezza del futuro non metteva paura, anzi scatenava energia. E poi: il papà Giuseppe che è laborioso, generoso, devoto al Signore. Tanto che neppure quando il Cielo, 25 anni fa, gli rapisce l'adorata moglie, e neppure nel '92, quando gli porta via l'amato figlio Franco, in un incidente stradale, il patriarca Giuseppe si lascia andare sconfitto e vinto. Ancora una volta riparte, mandando avanti l'allevamento con i due figli rimasti in casa, trecento vacche da latte che sono un modello nell'intera zona... Da qualche anno, ormai, era solo il nonno Giuseppe di diciotto nipoti. Non potendo più sopportare lavori pesanti, teneva dietro all'orto e al pollaio. La sera, preparava la tavola e metteva su il minestrone per i due figli. Guardando qualche volta la televisione, davanti ai crimini e alle efferatezze di questa tetra stagione, si lasciava andare a un commento laconico: «Neanche in Russia ho visto cose del genere...». Aveva tutto per avviarsi tranquillo ai tempi supplementari della sua lunga partita, nonno Giuseppe. Era sereno. Si sedeva sulla panchina fuori dalla villetta, con vista sulle stalle, e ringraziava Dio per quanto gli aveva concesso. La meritava, una dolce fine nel suo letto. Invece, quella sera, si è trovato in casa tre odiosi criminali. Se l'ambasciatore romeno non si offende, va detto per dovere di cronaca che erano romeni. Una coincidenza, va bene. Ma conta poco. Conta come hanno infierito a colpi di mazza sul nonno d'Italia e sui due figli, e come poi li hanno legati alle sedie e li hanno buttati giù dalle scale. Tutto per settemila euro e due telefonini, che i padroni di casa avevano subito consegnato. Pare che i delinquenti si fossero alterati perché nessuno rivelava dove stava la cassaforte. Che non c'è mai stata. Da quella sera, nonno Giuseppe non s'è mai veramente ripreso. Prima in rianimazione a Brescia, quindi a Manerbio. Nel mezzo, un veloce ritorno a casa. Coperto di cicatrici, la testa ancora ferita, una paresi a bloccargli per sempre la parte destra. I familiari lo toglievano a peso dal letto e provavano a metterlo sulla sua panchina, sotto il portico, affacciato sulle stalle. Purtroppo, non è mai servito. Nonno Giuseppe era lucido a metà. Concedeva solo qualche timido sorriso, quando qualcuno gli faceva una carezza. Negli ultimi due mesi, non riusciva neppure più a parlare. Di quella sera, non ha mai ricordato nulla. Soltanto, nei mesi a seguire, ha continuato a cercarsi sul polso l'orologio, chiedendosi dove fosse finito. Non ha mai saputo che gli avevano rubato anche quello, la sera del 28 febbraio. Povero nonno Giuseppe. In attesa che gli concedano l'ultimo omaggio, un bel funerale di paese, tutti quanti con la giacca scura e le scarpe buone, qualcuno ha il dovere di concedergli la giustizia che merita. Anche a lui. Anche se aveva 88 anni. Anche se nessuno strillerà mai il suo nome in televisione

lunedì 12 novembre 2007

What women want

Che cosa vogliono le donne? Finalmente una sana riflessione un pò maschilista ad uso e consumo del macho, dell'uomo vero e virile. Che cosa vogliono le donne? Con loro o senza di loro, purtroppo è cosi, attratti inesorabilmente dal luogo da dove siamo usciti, possiamo riassumere il tutto nella frase: 9 mesi per uscire una vita per rientrare! Eppure, nonostante tutto, una volta conquistata la vetta, ci mettiamo a sedere ed iniziano i conflitti interni, discussioni, mancanza di comunicazione, routine. E non credo sia un problema nostro, perchè l'uomo sposato o accompagnato tende ad essere succube della donna che ha accanto per un problema genetico e generazionale. Certo, non bisogna generalizzare, ma la donna tende sempre a portare i pantaloni, anche se gli stanno male. Il film di Mel Gibson, peraltro da vedere, parla di un uomo che ha la capacita, fortuna o sfortuna, di leggere nel pensiero delle donne, un arma micidiale, ad uso e consumo del maschio, che anticipandone le mosse, si relaziona con ogni donna li capiti a fianco. Spesso le relazioni tra uomini e donne, "non nascono" per mancanza di comunicazione. Quante volte abbiamo pensato "guarda quello/a, belloccio, quasi quasi lo invito a ballare o a bere", e poi non l'abbiamo mai fatto? Perchè se è vero che l'uomo nasce cacciatore, la donna non è quasi mai preda. E allora cosa si caccia, l'aria? Le donne più belle e divertenti che ho conosciuto, sono state quelle che si sono fatte cacciare, cacciando a sua volta, una battuta io, una loro, un complimento io un complimento loro. Bisogna mettere da parte i cacciatori e cacciati, mezze battute e mezze verità, sono il sale dell'inizio di un rapporto che può sfociare nell'erotico, nell'intellettuale, oppure solamente davanti ad un aperitivo. Le donne diranno: "siete voi che non capite!" e gli uomini rispondono: "ma se non ce la date mai!?!". Discussioni asettiche, prive di contenuti che non porteranno mai a niente. Uomini!: tutto si riduce ad un mero rapporto sessuale? Donne!: siamo ancora così bigotte da non esternare un benchè minimo complimento o una tacita affermazione di compiacimento? Se io vi mando una rosa, non dovete pensare per forza male, è una rosa, simbolo della bellezza, basterebbe un grazie o un altro segno di vita, non un usciata o un silenzio infinito. Oggi disponiamo tante forme di comunicazione, che non è più necessario "vedersi" per rifiutare galantemente un invito. Oppure nell'altra ipotesi, se la rosa è ben accetta, perchè non ricontraccambiare, invece di tenersi dentro un sentimento che potrebbe sfociare in un primo incontro a lume di candela, perchè non vedevate l'ora che succedesse? Le super donne e i super uomini gli abbiamo creati noi, escludendo dalla rosa dei candidati la gente comune, il ragazzo della porta accanto, che se si vestisse con abiti firmati e look alla moda, forse non sarebbe poi neanche tanto male... Che cosa volete, ragazze e donne, dall'uomo che vi sta accanto, o che incontrate al bar o al ristorante?