martedì 29 aprile 2008

Insieme...

Più volte su questo blog ho affrontato il tema dell'amore e del suo significato. Più volte sono stato blasfemo quando mi sono addentrato nello specifico, parlando apertamente di sesso. Di fronte ad un articolo così, vorrei chiedere scusa, perchè è una storia che ci fa capire veramente il significato della parola amore. Non perchè non abbia, o non conosca l'amore, ma perchè vorrei almeno provare un millesimo di quella passione che ha spinto Ugo ad invocare il ricongiungimento con la sua amata. Grazie ad Ugo ed Annalisa oggi ho imparato qualcosa, e la loro storia può essere raccontata al pari dei grandi poemi, scaturiti dalla fantasia degli scrittori... Ma solo il più grande degli scrittori ha permesso che questa storia fosse vita...
di Cristiano Gatti
Chi ama davvero non vorrebbe vivere nemmeno un attimo più dell’amato. Per Ugo e Annalisa, che si sono amati davvero, soltanto una mezza giornata di distacco. Prima se n’è andato lui, intorno alle otto del mattino, quasi in avanscoperta, quasi a preparare il nuovo nido. La sera, quando già la solitudine sembrava diventarle insopportabile, lei l’ha seguito e l’ha raggiunto. Di nuovo insieme, come sempre. Stavolta davvero per sempre. Chi ama davvero vorrebbe vivere, gioire, soffrire e poi persino morire al fianco dell’amato. Che parole melense, che pensieri da Bacio Perugina: chi non ama davvero, certo ci sghignazzerà. Ecco, la storia di Ugo e Annalisa non è cosa per quest’ultimo genere di umanità, dato il misterioso e indecifrabile alone di travolgente poesia che l’accompagna dall’inizio alla fine.È già svelata, questa fine: un funerale senza troppi orpelli nella chiesa parrocchiale di Ponteranica, il loro paese, alle porte di Bergamo. Anche il funerale come tutto il resto, riassunto nella parola di sempre: insieme. Una bara vicina all’altra, molto vicina, davanti al prete, che li riconsegna nelle mani di Dio, perché li abbia in gloria. Nei primi banchi, sostenuti dal calore di una folla d’amici, tre figlie e un nipotino, ragioni stesse del loro matrimonio davvero unico e davvero indissolubile. Uniti finché morte non vi separi. Se l’erano giurato, sempre davanti a un prete, nel 1974. Aprile anche allora, il giorno venti. Già quella volta sembra a tutti che questo legame abbia qualcosa di particolare. Di segnato e di predestinato. I due sposi hanno la stessa età, classe 1947, ma anche natali praticamente comuni: lui il 23 luglio, lei il 25. Chi ama davvero, evidentemente, non vuole vivere un attimo più dell’amato neppure all’inizio. Anche se ancora non lo conosce. Tra Ugo e Annalisa, solo due giorni di solitudine. Il loro destino li osserva dall’alto, lasciando che crescano ciascuno nel proprio paese, a qualche chilometro di distanza. Ugo è di Ponteranica, Annalisa di Darfo Boario, in Valcamonica. L’incontro che svela i disegni superiori è programmato per quando sono nell’età degli amori. Ugo è un suonatore di basso, fa spettacolo nei locali del Bergamasco e del Bresciano. Un giorno sale con la sua band a Boario, proprio lì dove l’attende l’appuntamento della vita. Ad accoglierlo, tra il pubblico, la ragazza carina e romantica che sarà per sempre la sua.Da quel giorno, insieme. È la parola magica che li accompagnerà lungo i sentieri del domani. Qualche tempo dopo si presentano insieme all’altare. Quindi, insieme mettono in cantiere tutti i progetti che due metà della stessa anima possono immaginare. Ugo è spirito d’artista. Esprime la sua inguaribile creatività mandando avanti locali pubblici. Oltre alla musica, ama dipingere. I suoi quadri girano per mostre. Lei è di temperamento diverso, trova soddisfazione nelle cose di casa, ma soprattutto nelle cose di mamma. Tre figlie arrivano ad animare l’atmosfera lieta di una famiglia riuscita. Tutti i giorni, tra le soddisfazioni e le difficoltà, Ugo e Annalisa concretamente scoprono quanto giusto e vero sia il famoso giuramento: uniti nella buona e nella cattiva sorte, insieme, sempre insieme, finché morte non vi separi... Tre anni fa nasce Tommaso, il nipotino che sconvolge il torpore dell’età che avanza. Avviandosi al bel traguardo dei sessant’anni, Ugo e Annalisa hanno tutto quello che serve per sorridere. Con questo stato d’animo accolgono i primi tramonti di quel caldo autunno riservato ai nonni felici. Ma sta scritto nella loro storia incredibile che tutto debbano affrontare insieme, anche la cattiva sorte. La prima ad ammalarsi di quel male spietato è Annalisa. Ugo le sta vicino, se possibile la ama più di prima. Ma evidentemente deve sembrargli ancora niente. S’era detto insieme. Sempre, per qualunque cosa. Come fosse giusto e ineluttabile, anch’egli si ammala. Dello stesso male feroce. L’ultimo anno li vede affiancati nella stessa battaglia, contro lo stesso nemico cinico e impietoso. Come sempre, si aiutano nella sofferenza fisica e nel tormento dell’anima. Tutti e due religiosi, pregano lo stesso Dio, perché almeno conceda consolazione. Nel segreto dei propri pensieri, certamente coltivano il grande sogno di tutti gli amori sinceri e generosi: chi ama davvero non vorrebbe vivere nemmeno un attimo più dell’amato. Nessuno sente la loro voce, ma certamente nel Cielo risuona lieve la tenerezza della loro supplica: Signore, ti prego, prendimi nella stessa ora. Non lasciarmi qui un minuto di più. Insieme, ancora insieme, fino all’ultimo respiro. Sessant’anni dopo averli avviati insieme alla vita, trentaquattro anni dopo averli messi insieme nella stessa casa, il Creatore ascolta la preghiera e insieme li richiama. Lui si avvia qualche ora prima, di mattina presto, quasi a cercare l’angolo giusto di Paradiso, dove accoglierla di nuovo come una regina. Lei lo raggiunge quand’è sera, evitando di affrontare da sola il buio della notte. Adesso stanno di nuovo insieme, in una luce bellissima. Dove non c’è morte che li separi.

lunedì 28 aprile 2008

Il grillo sparlante. L'antipolitica di Beppe Grillo, business da 4 milioni

Tanto per capire da che pulpito vien la predica, Filippo Facci dedica 4 editoriali (anche troppi) su Grillo e il suo fenomeno... Anche il più grande dispensatore di vaffa meriterebbe un vaffa, non credete?
di Filippo Facci
La vera storia di Grillo. Il suo sito è classificato come "commerciale". Le bugie del comico su macchine e barche. Ogni volta ha tentato di bloccare i libri che parlavano della sua vita
Questa puntata è dedicata alla decodificazione di alcune balle su Beppe Grillo e di Beppe Grillo. Anzitutto delle precisazioni. Come visto, Giuseppe Piero Grillo non ha solo fruito due volte di un condono fiscale tombale, ma anche di un condono edilizio nella sua villa di Sant’Ilario. Come visto, poi, la pretesa di impedire la candidatura di chi abbia avuto delle condanne penali in giudicato (regola che non esiste in nessun Paese del mondo) precluderebbe ogni candidatura di Beppe Grillo medesimo, che è pregiudicato per omicidio colposo plurimo. A questa condanna, raccontata nella puntata di ieri, va aggiunto un patteggiamento per aver definito Rita Levi Montalcini «vecchia p...» in un suo spettacolo del 2001: dovette pagare 8400 euro e la causa civile è ancora in corso, anche perché Grillo sostenne che la scienziata ottenne il Nobel grazie a un’azienda farmaceutica. A proposito dei referendum promossi dalle piazze grillesche, invece, vediamo che anche il promotore Antonio Di Pietro invoca che un parlamentare non resti tale per più di due mandati: ma non ha detto che lui, di mandati, ne ha già collezionati cinque, per un totale di anni 11. Anche Marco Travaglio, venerdì, ha tuonato contro i finanziamenti pubblici all’editoria: ma non ha detto che il suo giornale, l’Unità, percepisce più contributi di tutti, e non «come tutti i giornali italiani» (parole sue, rivolte alla folla beona del V-day), bensì nella modalità assai più danarosa riservata alla stampa politica; dalla Rai all’Unità, insomma, Travaglio è pagato coi soldi dei contribuenti. Per chiudere con la manifestazione di venerdì: Piazza San Carlo è grande 168 per 76 metri, dunque 12.768 metri quadri che moltiplicati per 3 (tre persone ogni metro, e sono già tante) dà 38.304 persone totali, non 120mila come dal blog di Grillo: «Eravamo in 120.000. Chi era presente lo sa e anche chi può informarsi in Rete».
Il Grillo censore
Grillo non a caso riconosce solo la rete, per quanto la cosa, nel tempo, si sia configurata come un’ossessiva paura del confronto. Interviste non ne rilascia, ed è nota l’esperienza del giornalista Sandro Gilioli: nel gennaio scorso si mise d’accordo col comico per un’intervista di quattro pagine, ma poi si vide respingere le domande perché definite «offensive e indegne»: tuttavia, una volta rese pubbliche, si sono rivelate del tutto ordinarie. Poi c’è il capitolo libri: Grillo, semplicemente, è solito bloccare qualsiasi volume che lo riguardi. Nel 2003 fece diffidare e bloccare «Grillo da ridere» di Kaos edizioni, biografia a lui favorevole: la scusa fu che conteneva un’eccedenza di testi dei suoi spettacoli. Nel 2007 invece ha diffidato e bloccato «Chi ha paura di Beppe Grillo?» di Emilio Targia, Edoardo Fleischner e Federica De Maria, scritto per Longanesi: tre studiosi che hanno seguito Grillo per anni; aggiornato due volte, Longanesi infine ha lasciato perdere per non avere grane. Il libro, dopo che per analoghi motivi era stato rifiutato da ben 23 editori, è uscito infine per Selene edizioni giusto in questi giorni. La biografia «Beppe Grillo» uscita infine per Aliberti, e scritta da Paolo Crecchi e Giorgio Rinaldi, è nelle librerie dal novembre scorso nonostante le minacce fatte recapitare da Grillo, ai due autori, a mezzo del giornalista della Stampa Ferruccio Sansa, figlio del suo dirimpettaio Adriano. Tutte le cause, infine, per risparmiare, sono promosse dallo studio legale del figlio di suo fratello Andrea. Va anche detto che l’atteggiamento di Grillo, casta di se stesso, probabilmente non è solo ascrivibile alla preservazione di un culto della propria personalità: semplicemente, vuole essere l’unico a guadagnare col proprio nome. Il blog che non lo è Sotto questo profilo, la definizione corretta del suo celebre blog, aperto il 26 gennaio 2006, è «sito commerciale»: come tale è infatti classificato. I numeri parlano chiaro: un anno prima del blog, nel 2004, Grillo ha fatturato 2.133.720 euro; nel 2006, due anni dopo, ne ha fatturati 4.272.591. La politica del Vaffanculo sta rendendo bene. Nel citato «Chi ha paura di Beppe Grillo», i tre autori hanno monitorato il sito per tre anni osservando come Grillo, spesso con la scusa della battaglia per la democrazia e il finanziamento dei V-day, venda ogni genere di gadget: video del V-day, dvd dello spettacolo Reset, libro «Tutte le battaglie di Grillo», eccetera. Anche i circolini politici rendono: chi vuole aprire un fan club deve pagare 19 dollari per un mese (dollari, perché la piattaforma è negli Usa) che sono scontati a 72 per chi prenota un semestre. Per ora i circoli sono poco più di 500, ed è già un bel rendere.
Il moralista
Solo alla rete e a Grillo, dunque, dovremmo affidare le verità su Grillo. Tipo questa: «Ho avuto una Ferrari, ma l’ho venduta». Fine. Salvo scoprire, certo non sulla rete, che di Ferrari ne ha avute due, più Porsche, Maserati, Chevrolet Blazer, eccetera. Oppure, sempre parole sue: «Ho due case, una a Genova e una in Toscana». Fine. Salvo scoprire, certo non sulla rete, che una in effetti è a Bibbona, Livorno, 380 metri quadri e 5.600 metri quadri di terreno; ma risulta intestato a lui anche l’appartamento di Rimini dove stava con l’ex moglie, senza contare che la Gestimar, la sua società immobiliare gestita dal fratello, possiede i tre appartamenti a Marinelledda, una villa a Porto Cervo, due locali più garage a Genova Nervi e infine un esercizio commerciale a Caselle, oltreché un garage in Val d’Aosta. Oppure, ancora: «Ho avuto la barca, ma l’ho venduta». Salvo scoprire, certo non sulla rete, che di barche ne avute diverse; una forse l’avrà anche venduta, ma il panfilo «Jao II» di 12 metri, in realtà, risulta affondato alla Maddalena il 5 agosto 1997. C’erano a bordo anche Corrado Tedeschi (che oggi odia Grillo pubblicamente) con la sua compagna Corinne. La barca finì su una secca peraltro segnalatissima, e fu salvato dalla barca dei Rusconi, gli editori. Grillo fu indagato per naufragio colposo, procedimento archiviato. Un’altra volta, il 29 maggio 2001, riuscì nell’impresa si insabbiare un gommone nel profondissimo mar Ligure, alla foce del Magra: con lui c’era Gino Paoli, fu una giornata senza fine. Del condono tombale chiesto e ottenuto per due anni e per due volte dalla citata Gestimar, dal 1997 al 2002, diamo conto velocemente. Fu certo lecito, ma non obbligatorio. Il problema è che era esattamente il genere di condono contro il quale Grillo si era scagliato più volte, e in particolare con una lettera indirizzata al direttore di Repubblica risalente al giugno 2004. Se vorrà ne riparlerà Grillo medesimo, tra un vaffanculo e l’altro.
Il nuovo Coluche Difficile scacciare l’idea che Grillo non sogni di potersi ispirare un giorno a Michel Coluche, l’attore e comico francese che peraltro ebbe l’onore di conoscere sul set del film «Scemo di guerra» di Dino Risi: «Beppe si ingelosì molto del rapporto speciale che avevo con Michel», ha detto il regista. Coluche, idolo del box office transalpino, dai suoi spettacoli metteva alla gogna i politici e un bel giorno annunciò la candidatura all’Eliseo. Si ritirò solo all’ultimo, ma i sondaggi parevano garantirgli una messe incredibile di voti.Forse qualcuno avrebbe potuto già insospettirsi dall’esordio cinematografico di Grillo: «Cercasi Gesù», dove appunto interpretava un Cristo moderno anticipando la sindrome «Joan Lui» dell’altro aspirante santone, Adriano Celentano. Anche la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994, e relativo successo, deve averlo alquanto impressionato. Come rilevato da Libero il 3 ottobre scorso, Grillo mise il suo primo bollino elettorale proprio su Berlusconi: «Sono da mandare via, da mandare via questa gente qua, da votare gli imprenditori, ecco perché sono contento che è venuto fuori Berlusconi: lo voglio andare a votare». E qui siamo appunto nel 1994. Nella primavera successiva, vediamo, Grillo modificò il suo giudizio e lo spruzzò di venature appena megalomani: «Candidarmi sarebbe un gioco da ragazzi, prenderei il triplo del Berlusca» disse a Curzio Maltese su Repubblica. «Mi presento in tv e dico: datemi il vostro voto che ci divertiamo, sistemo due o tre cose. Un plebiscito». Poi, nel 2003, la svolta: «Per arrivare a Berlusconi dobbiamo essere diventati parecchio stupidi». Già covava. Ma una vera discesa in campo, Giuseppe Piero Grillo, non l’ha ancora fatta. Deve ancora discuterne col commercialista.

sabato 26 aprile 2008

Quel viaggio dell'orrore (1945)

Ancora un altro viaggio nella nostra storia, tra vincitori e vinti.
Nel maggio 1945 quaranta persone cercarono di fuggire da Savona: gli uomini della Resistenza li catturarono, violentarono le donne e li uccisero tutti
Esiste un massacro, che tutti tendono a dimenticare, chiamato impropriamente della Corriera della Morte avvenuto sulla strada Savona - Altare nel maggio del ’45. Ma sarebbe corretto chiamarla la strage dell’autocarro della morte. Più in là vedremo il perché. Nel 1956 la Corte di Appello di Genova – Sezione Istruttoria, aveva fatto una ricostruzione completa dei fatti, delle vittime, della dinamica e soprattutto delle responsabilità oggettive. Ecco la storia: il 25 aprile 1945, la disfatta delle forze armate nazifasciste era evidente, e imminente era pure l’occupazione di Savona da parte dei partigiani, in quella situazione di sfascio, quattro colonne di militari, di fascisti e di persone compromesse col regime in agonia, partirono velocemente da Savona per cercare scampo nel Nord della penisola. La prima di tali colonne era formata da truppe della wermarcht, la seconda da militari della Repubblica Sociale Italiana, la terza dalle cosiddette Brigate Nere, mentre dell’ultima facevano parte il personale, non militare, del Partito Fascista Repubblicano, coi rispettivi familiari ed altri cittadini che avevano collaborato con il fascismo repubblicano, quello di Salò. Le colonne in fuga, furono attaccate da terra e dall’aria e si scompaginarono lungo il cammino, parte di esse si arresero ai partigiani a Valenza Po. Dopo essere stati trattenuti alcuni giorni in tale località, i prigionieri vennero trasferiti ad Alessandria. Pare che nel corso della prigionia ad Alessandria, le prigioniere siano state stuprate dai partigiani in più occasioni. Avuta notizia della cattura, la Questura di Savona, diretta a quel tempo dal partigiano comunista Armando Botta, uomo dalla intransigente cultura operaia e poco incline alla umana pietà, diede ordine di tradurre da Alessandria a Savona un primo gruppo di prigionieri. A quei tempi, vero far west, i magistrati non avevano voce in capitolo. Solo chi era armato ed organizzato militarmente aveva potere di vita o di morte su tutti. E i partigiani rossi, possedevano l’organizzazione, le armi e soprattutto la voglia di usarle. La prima traduzione venne effettuata il 5 maggio 1945 con caposcorta Stefano Viglietti. Tra i deportati, uomini e donne, vi era il generale Farina ex comandante della mitica Brigata San Marco, spesso impiegata in funzione anti guerriglia. Per lui era già pronto il sicario partigiano, ma appena arrivato a Savona, fu prelevato da elementi armati anglo-americani, suscitando fortissimo malcontento negli ambienti partigiani. Se la scampò, almeno lui... La seconda traduzione, quella che avrebbe portato ad un bagno di sangue doveva comprendere 52 persone, fra le quali 13 donne, e venne disposta a distanza di pochi giorni dalla prima.Di essa furono incaricati, attenzione ai nomi accompagnati dai nomignoli di battaglia, Giorgio Massa (Tommy), Dalmazio Bisio (Bill), Ottavio Oggero (Penna Rossa) e Luigi Anselmo (Pue), oltre al Viglietti, Emilio Metri, Umberto Gagliardo ed Egidio Scacciotti.Tutti costoro, a capo dei quali era il Massa, che rivestiva il grado più elevato (Maresciallo ausiliario di P.S.), il 10 maggio si recarono ad Alessandria con una autocorriera condotta dagli autisti Giuseppe Pinerolo e Nicolò Amandini. Tutti i gradi di cui questi discutibili personaggi si fregiavano, non derivavano da concorsi, corsi, decreti ministeriali ma bensì la dubbia metodologia di conseguimento dei gradi era simile a quella su cui si baserà in futuro, Idi Amin Dada per autoproclamarsi generalissimo in Uganda. E visto ciò che accadde, questi personaggi non erano molto dissimili da quell’ex pugile antropofago divenuto dittatore in Africa.Quel giorno stesso, ottenuto dalla Questura di Alessandria l’ordine di scarcerazione dei 52 detenuti, il cosiddetto Maresciallo Massa li prelevò e li fece salire sull’autocorriera, che iniziò il viaggio di ritorno a Savona.Lungo il tragitto, ai reclusi prelevati ad Alessandria ne furono aggiunti altri, Antonio Branda fuggito da Savona in bicicletta e Giovanni Poggio, interprete al Comando tedesco, prelevato ad Acqui. Dopo il pernottamento nella città delle terme, la corriera proseguì il viaggio la mattina dell’11 maggio. Per il percorso Acqui/Altare sulla corriera viaggiò anche una staffetta non combattente, di soli 17 anni, della San Marco, Sergio Angelici, ma fu trattenuto nella caserma di Altare e, successivamente fucilato. La sua esecuzione, crudele ed ingiustificata, venne concretamente eseguita da due partigiani di nazionalità polacca, che si lordavano abitualmente le mani di sangue agli ordini dei loro colleghi italiani. A Piana Crixia, sosta e le donne detenute vennero condotte in un esercizio pubblico per mangiare. Durante la fermata Poggio, unicamente colpevole di essere un traduttore dal tedesco all’italiano e dall’italiano al tedesco, fu fatto scendere e venne ucciso nella Frazione Borgo con una pallottola alla nuca mentre era inginocchiato, a bordo strada, in attesa del colpo di grazia. Giunta ad Altare la corriera venne fatta fermare davanti alla Caserma dei Carabinieri, a quel tempo sede del presidio partigiano locale, comandato da Giovanni Panza (Boro). Qui tutti i detenuti, fatta eccezione delle donne del Branda e del giovane Armando Morello e del Colonnello Giacinto Bertolotto furono fatti scendere e portati nella caserma dove furono picchiati selvaggiamente con i bastoni.Qualche ora dopo quegli sventurati vennero fatti salire su un autocarro, il vero veicolo della morte e non come taluni dicono la corriera della morte, guidato personalmente dal Giovanni Panza, e condotti in località Cadibona, nei pressi della Galleria ferroviaria. Prima che il camion partisse, il Viglietti (che forse era il più umano della fosca brigata di assassini) fece scendere tre ragazzini, appartenuti alle formazioni fasciste, Arnaldo Messina, Adriano Menichelli e Romano Viale. Questi, accompagnati dal Viglietti, seguirono il camion, mentre l’autocorriera con le donne, il Bertolotto, il Branda ed il Merello veniva fatta proseguire anch’essa alla volta di Cadibona.Arrivati sul posto della mattanza, i prigionieri, 39 persone, che erano sul camion, vennero fatti scendere e trascinati su una piccola radura a lato della strada provinciale; dopo essere stati depredati di ogni avere: delle calzature e dei capi di vestiario, vennero, ad uno o due per volta, fatti scendere in un piccolo avvallamento del terreno ed uccisi a colpi di arma da fuoco. L’ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana Mario Molinari, approfittando della confusione, disperatamente, riuscì a fuggire di corsa, scalzo, senza scarpe e con solo la camicia, ma venne inseguito da un partigiano in bicicletta, fu ripreso nell’abitato di Cadibona, trascinato con violenza a calci e pugni, sul luogo del massacro e fucilato, negandogli per punizione anche l’assistenza religiosa, da lui richiesta in quanto credente. I poveri cadaveri, crivellati dalle raffiche degli sten e dei mab dei partigiani rossi, rimasero sul posto, in balia degli animali del bosco, sino alla sera del giorno successivo, finché alcuni partigiani e civili, abitanti di Cadibona, provvidero a trasportarli al cimitero del piccolo centro, dove in nottata, vennero seppelliti, in quattro strati sovrapposti, in un’unica grande fossa. Il Cappuccino Padre Giacomo (Eugenio Traversa) li riesumò nel ’49 e ne provvide sepoltura nel Cimitero delle Croci Bianche di Altare. Il 24 maggio 1945 il Viglietti, l’unico ad avere un minimo di coscienza e pietà umana, sospettato, ovviamente, dagli altri partigiani di essere stato una spia della Rsi, scomparve senza lasciare alcuna traccia, dopo aver detto alla moglie che si doveva incontrare in serata con suoi colleghi partigiani per effettuare un servizio. Non è difficile immaginare che il Viglietti, l’anello debole della catena, sia stato ammazzato per impedirgli di testimoniare sul massacro dei 39 poveri sventurati, inoltre nel corso degli interrogatori, i veri assassini, con una faccia di bronzo inqualificabile, gettarono tutta la colpa sul povero Viglietti, visto che non poteva essere presente per discolparsi. A tutt’oggi il suo corpo non è stato rinvenuto.

martedì 15 aprile 2008

E ora fuori i secondi!!!


E’ finita!! Come quando eravamo militari, il grido alla fine della leva riecheggiava come una nenia: è finita!! Due anni del governo più disastroso della storia cancellati da un colpo di spugna, una spugna azzurra e verde, una spugna che sulla carta sa di nuovo. Mieli ieri sera ha detto che da oggi inizia la vera seconda repubblica, inizia il nuovo corso che tutti attribuivano al 1994, ma che in quindici anni di tentennamenti non è mai partito. Il nuovo corso ha il volto del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, della faccia un po’ sofferente del grande Umberto Bossi, del politico Gianfranco Fini, e di un riflessivo Giulio Tremonti. Adesso fuori i secondi, via gli arcobaleni, via le fiamme, via i casini (ne rimane solo uno) via i moscerini dal parlamento. Solo sei i partiti entrati nell’arena della politica e una maggioranza indipendente dai dinosauri a vita, ai quali consiglio una bella stazione termale austriaca.
Fuori gli attributi Sig.Presidente del Consiglio, ci aspettiamo da lei quello che ha fatto con le sue imprese, quello che lei ha promesso. Ci aspettiamo di poter tornare a sventolare il tricolore, ci aspettiamo di camminare sicuri per le vie del centro, ci aspettiamo che i napoletani vadano a sciare in montagna e non sui rifiuti, ci aspettiamo di volare in aeroplani con il tricolore sulla coda.
E’ finita ed e cominciata una nuova era. Questo sta solo a voi, onorevoli… Guadagnatevi questo titolo e onorate chi ha creduto in voi ancora una volta. Il primo vagito dell’esecutivo deve essere un segnale di speranza, far tirare in naso fuori di casa agli italiani, portarli per la strada a vivere le città, le campagne, le feste (non dell’Unità), ma delle nostre tradizioni, dal nord al sud. Vogliamo che l’industria italiana e gli operai che ci lavorano, torni a produrre a pieno ritmo, vogliamo scritto Made in Italy, fatto in Italia, dalle mani di un artigiano italiano, che mangia spaghetti e beve del buon vino rosso quando torna a casa, che bestemmi pure se le cose non vanno bene, ma che bestemmi un Dio con il quale siamo cresciuti. L’ospitalità allo straniero è sempre stata il nostro forte, ma che sia come alla corte di Lorenzo il Magnifico, ospitare chi in Italia porta conoscenza, ordine, arte, cultura. Di problemi ne abbiamo già tanti, non vogliamo quelli degli altri… Avete chiesto all’Italia di rialzarsi, l’italiani hanno chiesto di rialzarsi, è suonata la sveglia è ora di lavorare!!!

giovedì 10 aprile 2008

Liberi di delinquere e per non dimenticare

Bisognerebbe ci fosse un archivio delle cose dette e scritte in ogni circostanza, sopratutto quando si fanno promesse. Il problema di noi italiani è che abbiamo la memoria corta e i politici lo sanno benissimo. Il fardello di chi si appresta a governare è grosso, e bisognerà fare delle scelte belle o brutte che esse siano. Altrimenti regnerà l'anarchia e come si sa nel torbo si pesca meglio...
Massimo de’ Manzoni
Era stato arrestato o denunciato 20 volte per rapina, spaccio, violenza carnale, furto, rissa. Aveva già sulle spalle non uno ma due decreti di espulsione anche nelle occasioni in cui, nel 2006 e nel 2007, era finito in carcere. Eppure nessuno lo ha accompagnato alla frontiera. L’hanno lasciato qui, libero di compiere la sua ennesima impresa criminale: sodomizzare davanti a tutti un adolescente disabile nei pressi della Stazione Centrale di Milano.Atroce. Ma la vera tragedia è che quella dell’algerino Yousef Maazi non è l’eccezione, bensì la regola. Come lui, i due albanesi che nel settembre scorso torturarono e massacrarono con una sbarra di ferro una coppia di coniugi nel Trevigiano. Come lui i due marocchini che violentarono e rapinarono due ragazzi napoletani in aprile. Come lui centinaia di altri clandestini dalla riconosciuta vocazione a delinquere, colpiti da espulsione ma colpevolmente lasciati liberi di restare in Italia a picchiare, rapinare, stuprare, uccidere. Talvolta col «timbro» della legge, come quel magrebino che un magistrato di Reggio Emilia ha rimesso in libertà perché l’ordine di espulsione firmato dal questore non era scritto in arabo. Talvolta scivolando tra le pieghe della legge, come il romeno condannato a sette anni per sequestro di persona e violenza carnale e tenuto in galera appena due giorni (giorni!) per motivi tuttora misteriosi. Sempre, comunque, protetti da una cultura ammantata di buonismo, di perdonismo, di finto solidarismo con la quale larga parte della sinistra e una fetta del mondo cattolico hanno inquinato il modo di affrontare la questione immigrazione nel nostro Paese. Una cultura per la quale essere clandestini, ossia fuorilegge, è un’attenuante, non un’aggravante. Una cultura che ha prodotto sentenze come quella del gennaio 2007, quando a un assassino romeno che aveva tranquillamente assistito «per almeno un’ora» all’agonia della sua vittima senza muovere un muscolo è stata dimezzata la pena (da 30 a 17 anni: tradotto, vuol dire che tra poco ce lo ritroviamo ancora per le strade) perché «viveva in uno stato di arretratezza culturale». E poi dicono che non ci sono temi che appassionino la gente in questa campagna elettorale.

mercoledì 9 aprile 2008

Storia manipolata

Mi è capitato più volte, dopo la fine del liceo, di rileggere la storia da altre fonti, di sentirla da chi l'ha vissuta, parenti, amici, e non ho mai creduto più di tanto a quello che avevo studiato. Giordano Bruno Guerri, con parole da giornalista, e da persona che si informa e indaga, ha messo nero su bianco questo concetto, e nel mio piccolo blog, voglio renderne merito.
di Giordano Bruno Guerri
Il problema dei libri di storia usati nelle scuole è serio e va anche oltre la denuncia fatta da Marcello Dell’Utri. Non si tratta soltanto di aggiornare la spiegazione della Resistenza, sulla base delle più recenti acquisizioni storiografiche, che ne evidenziano le ombre. Per oltre mezzo secolo, in Italia e soprattutto nelle scuole, non si è potuto neanche parlare di “guerra civile”, mettendo tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi dall’altra, nel più classico modello della storia scritta dai vincitori. Per i ragazzi di oggi, si tratta di un periodo lontano quanto Carlo Magno, e per formarli e informarli bisognerà pur spiegare loro che crudeltà e efferatezze ci furono da entrambe le parti, e che gran parte dei partigiani, oltre a combattere giustamente contro il fascismo, volevano sostituirlo con un’altra dittatura, di segno opposto. Ma il problema è più vasto perché anche la storia del fascismo - durato dieci volte più della Resistenza, e che coinvolse tutti gli italiani – viene presentata ai ragazzi secondo stereotipi ai quali ha rinunciato pure la migliore storiografia di sinistra. I testi scolastici, del resto, rispecchiano un Paese dove esistono decine di Istituti per lo studio della Resistenza e nessuno per lo studio del fascismo. Un assurdo. Intendiamoci, è giustissimo, doveroso, insegnare che il regime aveva l’immensa, inaccettabile colpa di privare gli italiani della libertà, nei modi che sappiamo e che vengono ampiamente illustrati. Ma bisognerà pur spiegare perché la maggior parte degli stessi italiani dettero il loro consenso a quel regime, che non si limitò soltanto a privarli della libertà e a fare guerre. Il problema è più vasto, anche perché non riguarda soltanto i libri di storia, ma pure quelli di letteratura. Personaggi come Marinetti e d’Annunzio, per dire i casi più clamorosi, vengono messi in secondo piano, o direttamente in cattiva luce, per le loro compromissioni con il fascismo. Dando dunque per scontato che ciò infici la loro opera creativa: un altro falso. Ciò detto, non credo che il problema possa essere risolto con una Commissione, che risistemi le cose dall’alto di un ministero. Il problema va affrontato culturalmente, riprendendo – per le scuole e nelle scuole - un dibattito sociale e storiografico finora non arrivato ai libri di testo, ai loro autori, agli insegnanti. Sarà un lavoro più lungo e faticoso di quello di una Commissione, ma più incisivo e, soprattutto, più pedagogico.
www.giordanobrunoguerri.it

Io e Rocco


Ho conosciuto Rocco nel 1987, abbiamo girato una puntata a M'ama non m'ama, e non mi sarei mai aspettato di trovarmi davanti il più grande attore hard di tutti i tempi. Eppure era un personaggio mite, non come me che ero solo "chiacchere e distintivo", ed ero partito per farmi il mondo... Lui il mondo se l'è fatto sul serio, e a distanza di 20 anni mi piacerebbe rincontrarlo e stringergli..... la mano per essere diventato l'uomo che è, e l'intervista qui sotto ne è una riprova.


E' l'attore pornografico per eccellenza (anche se sono tre anni che non recita più), è regista, produttore, stilista e ora autore di una compilation musicale: Rocco Siffredi - nome d'arte di Rocco Tano - parla a ruota libera di cinema hard, di scelte di vita, di politica, di televisione e sesso alla vigilia della presentazione del cd Sexy - 17 brani da lui selezionati tra le hit degli ultimi 20 anni - e della sua partecipazione al Mi-Sex di Milano.

64 minuti di brani musicali scelti da te e mixati da Sergio Cerruti: da dove nasce l'idea?
Si tratta di canzoni che mi ricordano il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, quando cercavo di "acchiappare" qualche ragazza. Mi ricordano momenti della vita che sono sia sexy che romantici. Del resto le due cose vanno insieme. In fondo è un disco adatto ad accompagnare i preliminari. Il prossimo cd saranno 69 minuti - il mio numero preferito! - di canzoni più hard, a partire da Sex machine.

Il sesso oggi è cambiato?
Si va a tremila, oggi. Si parte troppo in quarta, consumando tutto subito. Uno sbaglio. Il sesso va assaporato come quando ci si siede a tavola e si mangia con gusto.

Come vedi l'industria cinematografica del porno, da regista?
E' un mondo assurdo, ormai. Non ci sono più i vecchi pompini di una volta! Vedo queste ragazze che dirigo, sul set: non li sanno fare, vanno troppo di fretta. Bisogna usare la lingua lentamente, fin sotto i testicoli, accarezzarli. Invece oggi vogliono essere tutte strong. Ecco allora perché ho voluto fare questo disco: perché la musica dà un ritmo giusto a tutto, anche al sesso.

So che andrai a far la festa alle donne al Mi-Sex, l'8 marzo
Sarò lì per far loro gli auguri. Basta che non mi chiedano di fare uno strip perché non lo so fare, non è il mio mestiere. Io ho bisogno di una partner davanti, non sono il tipo adatto ad esibirsi da solo sul palco. Posso pure farmi venire un'erezione e masturbarmi lì, ma fare lo stripper non è come dire: è un mestiere non facile. M'è già accaduto in una circostanza simile che Schicchi mi invitasse a partecipare. Salgo, prendo il microfono, saluto tutte le donne presenti, le vedo sorridere, poi sento una che urla: «'A Rocco, parli pure bene, ma noi siamo venute qui per vedere il pisello!». Mi son detto: «Ma guarda che cazz... di situazione». Allora ho proposto: «Sono qui in carne e ossa per fare il mio spettacolo: c'è qualcuna che vuole aiutarmi?». Beh, s'è fatto silenzio e sono scappate tutte.

Non ti è mai pesato essere un sex-symbol?
Mai. Mi piace piacere, sia alle donne che agli uomini. Sai, ci sono donne anche bellissime che io chiamo "fighe secche", perché non trasmettono niente. Sapere di trasmettere emozioni invece è splendido.

Nausea da sesso, mai?
Mai del lavoro che faccio, dell'ambiente sì, invece.

Riesci a essere fedele a tua moglie?
Dopo le quattromila donne che mi son fatto ho avuto la fortuna di trovare la superdonna, Rosa, con la quale sono sposato da 13 anni e che mi ha dato un grande equilibrio. Con lei tutto bene. Basta che non mi porti il lavoro a casa, diciamo (ride, ndr).

I tuoi figli come vivono la tua professione?
Ho dovuto spiegare loro, ovviamente. Vedevano che la gente mi salutava per strada e pensavano: «Però, quanti amici che ha papà». Per ora sono ancora piccoli, ma li sto preparando ai commenti dei compagni a scuola. Sicuramente qualcuno che gli romperà i coglioni ci sarà.

Hai scritto un'autobiografia che ha sorpreso: ci si aspettava forse di meno, da te
La gente pensa che noi siamo quelli che facciamo i «filmini porno» e che passiamo il tempo a trombare allegramente sotto le telecamere. Invece è un lavoro duro, la propria dignità scende a livelli molto bassi: sei lì, col c...o duro davanti a tutti, figurati se ce l'hai moscio. Insomma, è una condizione psicologica molto difficile, sulla quale dover lavorare. Eppure tutti credono che un attore porno non abbia niente nel cervello.

Nel libro, critichi pesantemente la televisione
Ne ho parlato in modo onesto perché è da lì che vengono tutti i messaggi. E sono sbagliati. Tieni conto che io poi ci vado pochissimo e non necessariamente perché mi fa schifo. Il più delle volte per limitare la mia popolarità. Ora non dico che fare la pornostar sia meglio che fare una valletta: però se agli Italiani togli questo e il calcio, gli hai tolto l'80% degli interessi.

Quando torni qui dall'Ungheria, dove vivi, che effetto ti fa l'Italia?
Vivo fuori da trent'anni e non voto mai, perché non mi sembrerebbe serio. Ma è la prima volta che, tornando, mi accorgo della tristezza sulla faccia della gente, della crisi, della fatica ad arrivare a fine mese. Razzoliamo molto male e c'è parecchio da fare per risolvere la situazione, ma non so chi possa essere in grado di farlo. La vecchia guardia politiica, la manderei all'Isola dei famosi: tutti lì a procurarsi per mesi il cibo per sopravvivere. Da soli e senza neanche il conforto della lasagna, la domenica, se hanno fatto i bravi. Chi vince, diventa premier.

Quanto alla morale sessuale?
Siamo troppo influenzati dalla cattivissima educazione della Chiesa. E lo dico da cattolico, seppur non praticante. Tutti gli impulsi che hai in mezzo alle gambe sono, per la Chiesa, da reprimere (il che fa di te un frustrato). Altrimenti, se li assecondi liberamente, fanno di te un assatanato. Io ho scelto di essere felice e di pensare con la mia testa.

Come sei arrivato a pensare di fare l'attore porno?
Un qualche c...o di lavoro bisogna pur farlo (ride, ndr)!. A 13 anni già volevo fare film porno. Il sesso era sviluppato come in età adulta, mi masturbavo di continuo e più lo facevo, più avevo voglia di farlo. Certo, è un duro lavoro e non si può pretendere di trombare e divertirsi sempre. L'importante è che la percentuale di "culo" che ci si fa sia al 30% e il divertimento al 70%. La controindicazione vera è venuta dopo, quando ho smesso di fare l'attore e ho deciso di fare il regista. I primi tre anni sono stati pesanti. Stavo dietro la macchina da presa con tutte queste donne davanti e non potevo toccarle. E' stato come un arresto cardiaco, per me. In quel periodo mi son fatto cento prostitute in tre settimane, perché mi dovevo sfogare. Tutta la pressione che prima sfociava nel lavoro rimaneva inespressa, era frustrante. Dovevo farmi qualunque cosa.

Alla faccia della fedeltà. Rocco
Sono estremamente fedele. Nei sentimenti, dico. Comunque sono sceso a venti prostitute (ride, ndr).

Bilancio esistenziale positivo?
Sono un uomo molto fortunato. Ho fatto nella vita una scelta difficile che però mi ha reso moderatamente ricco e felice. Da uno a dieci, direi che ho preso 11. E che rifarei tutto.

sabato 5 aprile 2008

Sono veramente stufo!!!

Sono veramente stufo!!! Si dice al peggio non c'è mai fine, ma qui si esagera veramente!! Possibile che certe cose le vediamo solo noi, o gli altri fanno finta di non vederle? Altrimenti siamo al paradosso del marito, sapendo che la moglie lo tradisce, preferisce evirarsi per non far fare sesso a sua moglie!!! Cazzo!!! (è proprio il caso di dire....)
C’era una volta l’Italia, la terra che vendeva sogni al resto del mondo. Una vecchia zia, che abita da anni vicino Toronto, ti chiama preoccupata: «Ma cosa sta succedendo lì?». Dice che lei, ormai, quasi si vergogna. È colpa di Fox News, della Cnn e anche di Rai International. Tutte quelle cattive notizie che si ripetono come una litania sono difficili da digerire. Napoli è una pattumiera. L’Alitalia non vola. La mozzarella di bufala che sa di diossina e perfino in Corea non la vogliono più. Ora il vino con l’acqua e chissà quante altre schifezze. Il Brunello, nobiltà del rosso, che contamina il Sangiovese con uve bastarde. E i francesi, gli spagnoli, i greci, perfino i greci, che ridono. Il made in Italy sporcato, stuprato, rinnegato, messo alla gogna con un marchio d’infamia, una lettera scarlatta. Magari si esagera, magari non tutto è vero, ma intanto il danno è fatto. E le precisazioni, i distinguo, le mezze smentite non bastano. L’onore è perduto.Era da tanto tempo che l’Italia non godeva di una così cattiva fama. Ora bisogna farci i conti. Il clima economico non aiuta. La recessione è qui davanti a noi e le stime economiche che parlano di crescita zero confermano ciò che molti italiani scontano sulla propria pelle. Non servono le statistiche per sapere che troppa gente non riesce a pagare il mutuo. C’è un sentimento diffuso di paura, di pessimismo, che fatica ad andare via. È come se un mago cattivo avesse gettato, con un tiro di dadi, un incantesimo del sonno su tutto il Paese. Cosa è successo? C’è un vecchio romanzo di Ayn Rand che racconta la malattia dell’Italia. Il titolo è la Rivolta di Atlante. È un mondo soffocato dalla burocrazia, dove tutti quelli che hanno talento e coraggio vengono disillusi. È un luogo dove il rischio è un tabù, dove gli imprenditori vengono accusati di egoismo, dove il denaro è sterco del diavolo. È una civiltà dove un’élite culturale e politica spaccia per solidarietà un buonismo melenso. È il regno dei predicatori con la faccia da prete, dove c’è sempre qualcuno che dice di voler andare in Africa e non ci va mai. È un governo che impone a chi vende una casa di presentare un certificato di idoneità degli impianti di luce, gas e acqua. Altra carta straccia e altre tasse su un mercato immobiliare già drogato. È il bluff di un Paese dove si pretende di controllare tutto e tutto sfugge. Dove la moneta cattiva scaccia quella buona. E la colpa è sempre collettiva. Cosa accade se le poche «minoranze coraggiose», quelle che il sociologo De Rita ritiene siano l’ancora di salvezza dell’Italia, smettono di lottare? Cosa accade se questi qui scioperano? Leggete la Rivolta di Atlante. È lì la soluzione.