lunedì 8 ottobre 2007

L’altra passione di Hollywood

Il caso di Mel Gibson, ebbramente antisemita, riapre la questione della competizione fra cristiani ed ebrei per il controllo della fabbrica dei sogni e quindi dell’anima dell’Occidente. Piccolo ripassino in forma di sermone

di Craig Detweiler

La rottura tra Hollywood e la comunità cristiana non è mai stata così visibile come nelle controversie suscitate dal film di Mel Gibson La Passione di Cristo. Nel gennaio 2003, nonostante Mel Gibson fosse nel bel mezzo delle riprese, decise di partecipare ad un talk show d’impronta conservatrice, The O’Reilly Factor. Sembra che un giornalista avesse “scavato” così a fondo nella vita privata dell’attore da avvicinare perfino il padre ottantacinquenne per cercare informazioni che oltre a far apparire Gibson come un fanatico avrebbero screditato il suo film. Il conduttore O’Reilly chiese a Gibson se il film avrebbe potuto offendere gli ebrei e lui rispose dicendo «Potrebbe, ma non è nelle mie intenzioni».Questa semplice apparizione di Gibson fu sufficiente a convincere gli ebrei che erano ancora una volta attaccati dai cristiani che li accusavano dell’assassinio di Gesù; e fu sufficiente a convincere la comunità cristiana, che per l’ennesima volta il proprio credo era messo sotto accusa dai media laicisti. Da un giorno all’altro i mezzi di comunicazione di massa iniziarono a speculare sulla possibilità che Gibson con il suo film volesse o meno promuovere un’ideologia antisemita e improvvisamente Gibson divenne l’emblema delle frustrazioni provocate ai cristiani dai mezzi di comunicazione di massa.
Prima che il New York Times Magazine pubblicasse l’indagine condotta dal giornalista sulla vita di Gibson, questi aveva già iniziato a mostrare il suo film alle chiese e a giornalisti d’impronta conservatrice. La loro parola bastò perché i cristiani accogliessero il film senza riserve. Gli schieramenti oramai erano formati. Le notizie provenienti da Hollywood non promettevano niente di buono: Gibson avrebbe infatti avuto grosse difficoltà a trovare una casa di distribuzione per il suo lavoro. Anche la Fox che generalmente distribuisce i film di Gibson si rifiutò, altre case di distribuzione fecero lo stesso. L’indignazione della comunità cristiana si riversò dai giornali a Hollywood. Molti ricordarono infatti i tappeti rossi con cui Hollywood in passato aveva accolto L’ultima tentazione di Cristo, un film giudicato blasfemo.
Alla fine Gibson riuscì a firmare un contratto con la Newmarket, una casa di distribuzione di piccoli film indipendenti. Le speculazioni dei media si intensificarono, a Hollywood molti erano convinti che Gibson dopo questo film non avrebbe più lavorato. La copertina dell’Entertainment Weekly si domandava «Riuscirà Gibson a sopravvivere a La Passione di Cristo?». Nel frattempo la comunità cristiana stava facendo del film di Gibson un vero e proprio evento, decisa ad inviare a Hollywood un messaggio. Le chiese di tutto il Paese prenotarono per tempo i biglietti del cinema. Il film ebbe un successo strepitoso: incassò 125 milioni di dollari nei primi cinque giorni di proiezione nelle sale. Raggiunse poi un incasso mondiale pari a 610 milioni di dollari. Hollywood cedette al successo del film che venne acquistato da una major per essere distribuito in dvd. L’ Entertainment Weekly proclamò Gibson l’uomo più potente di Hollywood. La comunità cristiana aveva vinto.
Ma era proprio vero?La Passione era un film davvero notevole ma per la comunità cristiana si è rivelato un’opportunità mancata. Come seguaci di Cristo avremmo infatti dovuto sfruttare le controversie suscitate dal film per cercare di conoscere meglio la comunità hollywoodiana e per costruire un nuovo rapporto con essa. Invece, l’abbiamo usato come una nuova arma per proseguire la culture war. Non possiamo permetterci di perdere un’altra simile occasione. I cristiani dovrebbero conoscere meglio la storia, in particolar modo il difficile rapporto che Hollywood ha con la politica americana. Dobbiamo renderci conto che Hollywood non ha alcun problema con Gesù, bensì con i Suoi fedeli – o più precisamente con quei fedeli che approvano la politica repubblicana. Dobbiamo comprendere che per la comunità di Hollywood, prioritariamente ebraica, ogni protesta, boicottaggio o manifestazione risveglia terribili visioni dal passato politico. Quando i cristiani parlano di boicottaggio Hollywood sente la parola pogrom.
L’inizioLa storia di Hollywood inizia nel New Jersey nello studio “Black Maria” di Thomas Edison. Nel 1891 Edison richiese il brevetto per una cinepresa chiamata Kinetograph e per un visore caratterizzato da uno spioncino chiamato Kinetoscope. Attraverso il cinetoscopio l’osservatore poteva sperimentare l’illusione e il divertimento nel guardare immagini in movimento. Sfortunatamente Edison non immaginò il successo che avrebbe potuto riscuotere nel proporre queste immagini in movimento ad un gruppo di persone.Furono i fratelli Lumière che, nel 1895 in Francia, introdussero la proiezione – e la fruizione collettiva – con il loro Cinematographe: l’esperienza del grande schermo che noi chiamiamo “cinema” era nata.Allora perché parliamo di Hollywood anziché di Parigi, o di West Orange nel New Jersey? E come mai un’industria fondata da un cristiano d’epoca vittoriana come Edison è finita per essere dominata da immigrati ebrei? Anche se Edison possedeva il brevetto per la produzione di immagini in movimento l’industria cinematografica fece affari grazie alla proiezione dei film. Edison tutelò la sua produzione filmica con aggressive strategie legali, ma invano; egli infatti non possedeva le sale dove poter proiettare i film.
I cristiani dell’epoca vittoriana consideravano l’Opera e la sinfonia come legittime forme artistiche, ma vedevano invece il cinema come una nuova forma d’intrattenimento modesta e di basso livello. Com’era già accaduto in passato con il vaudeville, si preferiva lasciare la gestione di questa nuova forma d’intrattenimento, considerata alquanto discutibile, alla libera iniziativa degli immigrati. In coincidenza con l’inizio dei pogrom europei, giovani ebrei immigranti popolarono la costa orientale degli Stati Uniti, attirati dalle promesse incarnate dalla Statua della Libertà. Eppure, molti dei nuovi ebrei appena immigrati, letterati, avvocati, uomini d’affari non riuscirono a svolgere le professioni “legittime” a causa dei forti pregiudizi della élite formata dai bianchi anglosassoni e protestanti (Wasp). Sale giochi e teatri d’operetta offrirono quindi a questi immigranti posti di lavoro dal generoso profitto.
Con l’avvento dei nickelodeon (nome dato dalle prime sale cinematografiche nel 1905 così chiamate dal prezzo del biglietto d’ingresso, un nickel, ndt), sale cinematografiche dedicate unicamente alla proiezione di film, la nascente industria cambiò per sempre. Nel 1908 le sale cinematografiche registravano già ottanta milioni di spettatori la settimana (da notare che l’intera popolazione degli Stati Uniti contava cento milioni di abitanti). Anziché acquistare le pellicole cinematografiche e proiettarle fino a quando si rovinavano o si rompevano del tutto, le sale avevano bisogno di un ricambio continuo di film ogni settimana; così iniziarono a noleggiare le pellicole anziché comperarle. Fu allora che nacque nell’industria cinematografica un nuovo sistema, tuttora in vigore, caratterizzato da tre momenti precisi: produzione, distribuzione e proiezione nelle sale.Edison fece di tutto per consolidare il controllo dell’industria; un insieme di pressioni legali, minacce, accordi segreti, gli permise di raggruppare nove compagnie cinematografiche di rilievo (come Biograph, Vitagraph e Pathé) sotto l’unico nome di Motion Picture Patents Company. La società di Edison strinse inoltre un accordo esclusivo con George Eastman il quale garantì di vendere pellicole solo alla Patents Company. Dopo aver consolidato la produzione la Patents Company di Edison aumentò i prezzi sia ai distributori sia ai proprietari delle sale cinematografiche.
Sia gli uni che gli altri si ribellarono a questo monopolio; distributori e proprietari di sale ebrei come Carl Leammle e William Fox decisero di diventare produttori comperando pellicole dall’Europa. Ma come avrebbero potuto risolvere il problema del brevetto sulle macchine da presa di cui Edison deteneva l’esclusiva? I produttori si spostarono verso ovest, il più lontano possibile dalla costa orientale dove Edison esercitava il suo potere.Il sud della California offriva un’ampia scelta di luoghi dove poter girare i film, dalle montagne desertiche al mare; la città di Los Angeles offriva inoltre un clima splendido sempre caldo e soleggiato (necessario dal momento che anche le riprese degli interni erano fatte all’aperto, usando la luce del sole come fonte primaria d’illuminazione). Le regole sociali sulla costa occidentale erano fluide, guidate più dal denaro che dalla posizione sociale di famiglia; Los Angeles era quindi la località perfetta perché gli immigrati costruissero la propria fortuna. La cosa più importante era comunque la lontananza che separava Los Angeles dal luogo in cui Edison esercitava il suo monopolio sull’industria cinematografica.
Carl Laemmle costituì l’Independent Motion Picture Company (che si trasformò poi negli Universal Studios), William Fox diede vita alla 20th Century e Adolph Zukor formò la Famous Players in Famous Plays, che più tardi prese il nome di Paramount. Neil Gabler ha tracciato il cammino di questi pionieri del cinema nel suo notevole testo storico An Empire of Their Own: How the Jews Invented Hollywood. Gabler in questo libro racconta in modo dettagliato l’esperienza comune dei primi grandi magnati del cinema – i loro sofferti primi anni nell’Europa Orientale, la perdita dei loro padri, la fuga dalle persecuzioni, il desiderio di diventare americani a tutti gli effetti, fino al loro grande successo finanziario grazie al cinema. Nel 1915, quando la Motion Picture Patents Company venne giudicata un trust illegale, finalmente per i produttori ebrei indipendenti Edison non costituì più alcuna minaccia.Riconoscendo nel film uno strumento dal grandioso potenziale d’evangelizzazione, i leaders cristiani sollecitarono vivamente le chiese ad utilizzare questa nuova tecnologia con fini religiosi. Nel 1911 K.S. Hover scriveva: «Satana ha un nuovo nemico. I cristiani stanno combattendo il Male con gli stessi film brillanti, precedentemente usati solo per divertire e in qualche caso per istruire. La macchina da presa è diventata un predicatore e i suoi sermoni sono più efficaci perché indirizzati all’occhio invece che all’orecchio» (The Silents of God: Selected Issues and Documents in Silent American Film and Religion, 1908-1925, Lanham, MO, Scarecrow Press, 2001). Considerando i film come efficaci strumenti per attirare la gente alla funzione della domenica pomeriggio, sempre più chiese acquistarono proiettori.
I film epici di D.W. Griffith, Birth of a Nation e Intolerance, dimostrarono come questo nuovo intrattenimento stesse diventando una vera e propria forma d’arte. Griffith introdusse nuove tecniche come il primo piano e il montaggio alternato creando di fatto un nuovo linguaggio visivo. La crescente ricchezza e sofisticazione dei film impressionò i cristiani; un pastore osò dichiarare sulla rivista Photoplay (del marzo 1920) «Se Cristo fosse andato al cinema avrebbe approvato questi film». Un regista russo, Sergei Ejsenstejn, adottando le tecniche di montaggio di Griffith creò sequenze di montaggio vorticose in film come La Madre, La Terra e La Corazzata Potemkin. L’entusiasmo dei propagandisti sovietici per il cinema sarebbe durato più a lungo rispetto a quello dei pastori americani. Con l’introduzione del sonoro nel 1927 i film divennero più popolari (e redditizi) che mai. Se in passato i riformatori religiosi avevano visto nell’alcol e nella teoria dell’evoluzione i mali della società, con l’abolizione del proibizionismo e il divieto d’insegnamento della teoria darwiniana, poiché contraria alla creazione divina, questi guardiani della morale misero Hollywood nel mirino. Chiese e sale cinematografiche si contendevano il pubblico soprattutto di domenica. Molti leaders religiosi richiesero un rafforzamento rigoroso delle leggi restrittive per vietare qualsiasi attività commerciale la domenica che doveva essere mantenuta il giorno del Signore; sacerdoti e pastori incitavano i loro fedeli a scegliere tra la chiesa e il cinema.
Il comportamento scandaloso di alcune stelle del cinema come Mary Pickford e Fatty Arbuckle non fecero che aumentare il risentimento nei confronti di Hollywood. Nel 1920 l’innocua immagine di “fidanzata d’America” della Pickford venne danneggiata quando l’attrice divorziò dal marito e sposò l’attore Douglas Fairbanks dopo sole tre settimane. Fatty Arbuckle venne processato per omicidio colposo dopo una festa selvaggia svoltasi a San Francisco, terminata con la morte di Virginia Rappe. Dopo tre processi (i primi due terminarono con il mancato raggiungimento del verdetto) Arbuckle non fu ritenuto colpevole. Ma l’opinione pubblica lo aveva ormai condannato e la sua carriera di attore comico era finita. Nel 1922 un libro dall’eloquente titolo The Sins of Hollywood (I peccati di Hollywood) era già annoverato tra i best seller. Nei sermoni e nei discorsi tenuti in tutto il Paese, Hollywood veniva dipinta come “l’incubatrice del diavolo”, la fonte della degradazione morale in America. Nel 1930 il laico cattolico Martin Quigley e il gesuita Daniel Lord tracciarono una serie di linee guida morali per i produttori di film, conosciute col nome di Hollywood Production Code. Questo codice regolava la rappresentazione della sessualità e del crimine e raccomandava che i nuovi film non utilizzassero parole come God, hell e damn. I film avrebbero anche dovuto affermare la religione e promuovere il patriottismo. In un decennio particolarmente tumultuoso, la relazione tra i cristiani e Hollywood passò dalla lode alla competizione alla guerra aperta.
Non è difficile immaginare quale fu la reazione degli studios al tentativo di essere controllati dalla Chiesa. Immaginate: dopo esser sopravvissuti alle sommosse popolari antisemite nell’Europa Orientale, giungete finalmente in America, la terra delle opportunità. Intraprendete un business altamente redditizio gestendo sale da gioco. Quando Edison cerca di imporvi le proprie decisioni voi gli mostrate ciò di cui siete capaci: fuggite in California, la terra della corsa all’oro, vincete contro Edison in tribunale e diventate milionari guadagnando centesimo dopo centesimo. Poi, dopo tutta questa fatica, la Chiesa decide di fare di voi il bersaglio della sua ultima crociata per ripulire l’America. La reazione è di ignorare queste prese di posizione, almeno finché ci si riesce.Hollywood riuscì a tener testa al Production Code per parecchio tempo fino a quando nel 1933 l’associazione Catholic Legion of Decency minacciò di attuare un boicottaggio economico. Con gli incassi ai botteghini che già calavano a causa della Grande Depressione, la Motion Picture Producers and Distributors of America (precursore dell’attuale MPAA, the Motion Picture Association of America) assunse l’ex presidente nazionale del partito Repubblicano, Will Hays, per sostenere il Production Code.
Hays col suo background di autoritario pastore presbiteriano riuscì a placare i contestatori protestanti. Nel luglio del 1934 l’Hays Office assunse Joseph Breen, un giornalista di fede cattolica, come capo della nuova amministrazione del Production Code. Notate bene com’era costituito il triumvirato che deteneva il potere: magnati ebrei assumono un cattolico della chiesa di Roma per valutare i propri film e un protestante per tranquillizzare le masse. Le case di produzione presentavano i loro copioni e i loro film girati a Breen per essere approvati; il risultato che si ottenne è oggi conosciuto col nome di Età dell’oro di Hollywood, l’epoca delle grandi case di produzione e di film come Ombre Rosse, Casablanca e Via col vento.Il Production Code ispirò la creazione di nuovi generi; i cineasti, spinti a sublimare gli elementi sessuali dei loro copioni, crearono le commedie brillanti e veloci conosciute come screwball comedies. Essendo proibite non solo le scene di letto ma anche i lunghi baci appassionati, i protagonisti si scontravano con ingenuità e intensità; la tensione sessuale veniva espressa con scontri verbali e una gestualità comica. I film di Preston Sturges, Gorge Cukor e Howard Hawks ispirano ancora oggi le moderne commedie romantiche, film come Harry ti presento Sally e Insonnia d’amore.
Hollywood modificò inoltre la percezione che l’America aveva di sé attraverso patriottiche esaltazioni dell’uomo comune. Il film di Frank Capra del 1939, Mr Smith va a Washington, celebrava l’onestà, il duro lavoro e la possibilità per un uomo onesto di poter fare la differenza. Film drammatici come Furore (1940) raccontavano il viaggio degli Okies – gli abitanti dell’Oklahoma – verso la California con affermazioni come: «Noi siamo la gente (We’re the people) e continuiamo a giungere». Musical, come Ribalta di gloria del 1942, coglievano in pieno il fervore patriottico che accompagnava l’inizio della Seconda guerra mondiale. Andare al cinema era così popolare da divenire il passatempo nazionale preferito; i film definirono l’America come la terra delle opportunità, sostenitrice di ogni individuo e protettrice dei poveri. Lo storico Neil Gabler sottolinea l’ironia della situazione. Gli immigranti ebrei esclusi dal sistema e messi sotto pressione dalla Chiesa presentano un’America fortemente idealizzata che i cattolici e i protestanti abbracciano con tale fervore da soffocare la vera realtà americana. La mitologia filmica realizzata dagli ebrei immigrati divenne la versione ufficiale della storia degli Stati Uniti.
Durante la Seconda guerra mondiale, i professionisti hollywoodiani si schierarono in prima linea al servizio della propaganda di guerra; le sceneggiature venivano sottoposte al dipartimento della difesa per essere approvate. I film celebravano gli sforzi delle truppe alleate, tra cui Francia, Gran Bretagna e Unione Sovietica; gli americani erano uniti dal patriottismo celebrato da film come Destinazione Tokio (1943), C’è sempre un domani (1945) e Operazione Burma! (1945). Alcune star del cinema offrirono il proprio contributo durante la guerra; Jimmy Stewart e Clark Gable, per esempio, si guadagnarono medaglie al valore per aver compiuto missioni di bombardamento aereo sopra i cieli della Germania. Registi come Frank Capra, John Ford e John Huston girarono documentari ormai classici come La battaglia delle Midway (1942), e Prelude to War (1943), ricordando agli Stati Uniti “Perché combattiamo” (Why We Fight). Hollywood decise anche di adattare per il pubblico americano documentari russi; il film Moscow Strikes Back del 1942 vinse perfino un Oscar come miglior documentario.
Con la fine della guerra, l’unità delle forze alleate venne meno, la città di Berlino venne spezzettata, gli scienziati nazisti e la loro tecnologia militare d’avanguardia vennero reclutati sia dagli Stati Uniti sia dalla Russia. Con la detonazione della bomba atomica nel 1947 per opera dei russi la guerra fredda si inasprì. Gli americani vollero scoprire chi aveva rivelato ai russi il segreto per la costruzione della bomba atomica, così l’House Un-American Activities Commitee (HUAC) presieduto da J. Parnell Thomas, un repubblicano del New Jersey membro del congresso, condusse un’indagine meticolosa all’interno di ogni organo governativo cercando di capire dove mai potesse nascondersi la spia comunista. Quei film filo russi, come Moscow Strikes Back nati con l’approvazione del governo durante la guerra, iniziarono a destare sospetti e Hollywood fu marchiata come terreno di coltura di spie comuniste.
I magnati delle case cinematografiche, dopo essere sopravvissuti al pogrom, all’immigrazione, al Production Code e alla Seconda guerra mondiale non avevano intenzione di sacrificare la loro autonomia finanziaria sull’altare della politica. Produttori di fede repubblicana come Louis B. Mayer e Jack Warner accettarono di testimoniare davanti al congresso giurando di non assumere nessuno che fosse considerato o sospettato di essere comunista. Attori come Adolphe Menjou e Gary Cooper dichiararono sotto giuramento di essere a conoscenza dell’esistenza di attività comuniste che coinvolgevano attori e scrittori. Ronald Reagan, collaborando con l’HUAC, si dimostrò un testimone molto collaborativo.
Diciannove produttori cinematografici sospettati di appoggiare il partito comunista vennero citati in giudizio a Washington con l’accusa di essere “testimoni non collaborativi”. Molti di loro erano i figli di immigrati ebrei a conoscenza delle dure battaglie combattute dai loro padri per la conquista della libertà; molti erano anche comunisti, attratti dall’abilità del “guru” russo della recitazione, Stanislavskij, e sostenitori dei rivoluzionari di sinistra durante la guerra civile spagnola. Undici di questi testimoni non collaborativi citati in giudizio vennero chiamati a testimoniare. Bertolt Brecht evitò il processo fuggendo in Germania, ma altri dieci professionisti di Hollywood comparirono di fronte al Congresso e si appellarono al diritto di rimanere in silenzio per mantenere il segreto di voto e le garanzie costituzionali. Furono accusati di disprezzo del Congresso e spediti in prigione; per questi “Dieci di Hollywood” la politica americana fu una pillola molto amara da ingoiare. Proclamati patrioti durante la guerra mentre scrivevano opere come Obiettivo Burma! e Destinazione Tokio questi dieci trovarono l’assetto politico profondamente cambiato: la terra della libertà li aveva derubati del loro sostentamento, li aveva separati dalle proprie famiglie e rinchiusi in prigione perché avevano esercitato le loro libertà garantite dalla Costituzione.
La prigionia dei “Dieci di Hollywood” non fermò la caccia alle streghe. I notevoli sforzi messi in atto dal senatore repubblicano Joseph McCarthy del Wisconsin servirono solo ad aumentare le tensioni. Nell’impegno di collaborare con l’HUAC, le case di produzione di Hollywood misero sulla lista nera centinaia di scrittori, registi e attori dichiarandoli “persone non gradite” e mettendoli alla porta.Gli acclamati scrittori di film patriottici come Mr Smith va a Washington e Furore ora erano considerati sovversivi autori di propaganda volta ad insidiare il governo e sollevare in rivolta il proletariato. Alcuni scrittori elencati sulla lista nera continuarono a lavorare di nascosto spesso aiutati dai colleghi non perseguitati che sarebbero stati pagati e avrebbero firmato il lavoro fatto in realtà dagli scrittori “proibiti”, finiti sulle liste nere. Dalton Trumbo vinse l’Oscar per aver scritto La più grande corrida (1956) con lo pseudonimo di Robert Rich. L’autore francese Pierre Boulle nel 1957 con Il ponte sul fiume Kwai vinse l’Oscar per la miglior sceneggiatura, benché non parlasse inglese. Solo recentemente la Writer’s Guild of America ha reso i giusti meriti.
Ciò che non è stato dimenticatoAllora perché non c’è quasi nessun repubblicano a Hollywood? Il clima anticomunista e le azioni dell’HUAC sicuramente non hanno più alcuna importanza. Non sono una vecchia storia? L’Oscar alla carriera con cui venne premiato nel 1999 il regista Elia Kazan è un caso illuminante. Kazan è stato forse il più grande direttore di attori nella storia del cinema. Nato da genitori greci in Turchia, Kazan giunse in America all’età di quattro anni e si laureò alla prestigiosa scuola teatrale di Yale. Partecipò al Group Theatre, fu co-fondatore dell’Actors Studio e diresse significative produzioni di Broadway come Erano tutti miei figli, Un tram chiamato desiderio e Morte di un commesso viaggiatore. I suoi primi film trattavano tematiche come l’antisemitismo (Barriera invisibile), l’ingiustizia (Boomerang!) e il razzismo (Pinky la negra bianca). La sua inclinazione artistica (e politica) verso la sinistra lo fece diventare un facile bersaglio per l’House Un-American Activities Committee. Kazan ammise e poi abiurò le sue simpatie comuniste offrendo al congresso una lista coi nomi di amici e colleghi comunisti; la sua testimonianza gli permise di continuare a lavorare.
I dilemmi etici nati intorno alla convocazione di Kazan di fronte al Congresso trovarono parallelismi significativi nel suo film Fronte del Porto del 1954, dove Marlon Brando offre un’interpretazione memorabile nei panni di un pugile dalla carriera stroncata, Terry Malloy, che lotta con la propria coscienza cercando di decidere se testimoniare o meno contro il sindacato criminale in cui è coinvolto suo fratello. Il celebre discorso che Brando rivolge al fratello «Avrei potuto essere un nemico» sul sedile posteriore della macchina rimane una delle scene più affascinanti nella storia del cinema. Fronte del porto esprime la grandiosità dell’essere una spia, trasformando la testimonianza di Terry (e dello stesso Kazan) nel più grande atto di eroismo. Hollywood attribuì a questo film otto Oscar, e tra i premiati ci furono coloro che collaborarono con l’HUAC, lo sceneggiatore Budd Schulberg e il regista Elia Kazan.
Quarantacinque anni dopo, l’Oscar alla carriera divenne un occasione per far riemergere rancori a lungo soffocati e questioni mai risolte alla radice. Sebbene Kazan avesse avuto diverse occasioni per scusarsi con gli amici e i colleghi traditi, il regista non rinnegò mai pienamente le sue azioni.In un’intervista del 1974 Kazan spiegò il suo gesto: «Dovevo scegliere tra due mali – da allora ho spesso pensato che il mio fare nomi sia stato vergognoso, anche se quelle persone erano già sospettate prima che io le denunciassi pubblicamente, quindi non sono stato io a gettarle nelle mani della polizia; tutti sapevano chi erano, era lampante. è stato un gesto scontato da compiere perché esprimeva ciò che pensavo all’epoca. Giusto o sbagliato non è stato niente di inventato. Ne ero veramente convinto» (Elia Kazan: Interviews, Jackson MI: University Press of Mississippi, 2002).
Nel 1999, alla vigilia del suo Oscar alla carriera, costosi annunci pubblicitari, grandi una pagina intera, riempirono il Daily Variety e l’Hollywood Reporter chiedendo ai membri del comitato di consegna degli Oscar di ricordare il tradimento compiuto da Kazan. The Village Voice, realizzando una mordace vignetta raffigurante Kazan,criticò la sua premiazione ritenuta ingiusta in seguito al suo riprovevole comportamento. La notte degli Oscar, quando Kazan salì sul palco, la lunga e dolorosa vicenda del suo tradimento tornò a galla. Stelle del cinema decisamente liberal come Robert De Niro e Warren Beatty si alzarono in piedi per mostrare la propria stima e il proprio sostegno a Kazan, il regista che molti anni prima li aveva lanciati. Invece attori affermati come Nick Nolte e Ed Harris rimasero seduti ai loro posti, accigliati, ancora furiosi per la testimonianza di Kazan. Il comportamento di Steven Spielberg e Jim Carrey, che applaudirono educatamente senza però alzarsi in piedi, fu la reazione condivisa dalla maggior parte del pubblico in sala. Questo fu l’estremo affronto che il più grande direttore di attori nella storia di Hollywood dovette subire, come prezzo del suo tradimento negli anni Cinquanta. Kazan terminò il suo breve discorso con la triste riflessione «Forse adesso posso solo scivolare via».
Senza dubbio i dibattiti accesi e le storie dolorose che hanno avvolto lo Shrine Auditorium durante la notte degli Oscar non sono state colte dalla maggior parte dei telespettatori a casa. Hollywood tuttavia, negli anni Cinquanta, manifestò in vari modi sul grande schermo la sua comprensibile paura per le ripercussioni dell’“era McCarthy”. Film di quell’epoca come Mezzogiorno di fuoco del 1952 e L’invasione degli ultracorpi del 1956 possono essere letti come interpretazioni sottilmente velate sulle audizioni dell’HUAC. Eroi solitari considerati dei folli cercano di liberare intere città oppresse da paure e ignare di tutto quello che minaccia la società. Il prestanome (1976), Indiziato di reato (1991) e The Majestic (2001) ricreano la paranoia e la sofferenza causata dai processi, offrendo letture alternative degli anni Cinquanta. Perché Hollywood continua a raccontare dell’esistenza di una lista nera? Come Mosè un tempo descrisse dettagliatamente il suo Esodo, gli ebrei di oggi stanno semplicemente raccontando di nuovo la loro storia, così nessuno potrà mai dimenticare ciò che è accaduto.
Dopo aver scritto film di fantasia come Big e Dave, nel 1998 Gary Ross debuttò alla regia con Pleasantville, la sua opera più personale. Nella comunità cristiana questo film venne giudicato da molti come un attacco ai valori familiari, un tentativo di indebolire il nucleo familiare celebrando la libertà sessuale e l’adulterio. Il critico cristiano di cinema Phil Boatwright disse: «Gli autori di questo film vogliono convincere la gioventù di oggi che gli anni Cinquanta erano dominati da burocrati che erano teste vuote senza alcuna tolleranza per le libertà personali». Proprio così. Per Ross il film era l’occasione per poter ricordare la storia del proprio padre, lo sceneggiatore Arthur Ross, il cui nome fu annotato sulla celebre lista nera. Per quegli artisti che sono stati letteralmente imprigionati a causa dei loro principi, Pleasantville simboleggia la difesa di ogni libertà: di espressione, di dissenso o di essere una società antirazzista. Ross col suo film sconsiglia caldamente quelli che incoraggiano l’America a guardare al passato, a tornare ai modi più gentili e cortesi degli anni Cinquanta. Pleasantville ci mostra infatti che le cose non erano poi così piacevoli per la gente di colore o per quelli che non si conformavano agli standard cristiani. Gli anni Cinquanta potrebbero non essere così innocenti – o cristiani – come affermano le persone di fede. Ross crede che «Ogni epoca ha la sua falsa nostalgia. Noi tutti idealizziamo qualche cosa, per la mia generazione sono stati gli anni Cinquanta, per le altre generazioni sarà qualche cosa d’altro». Certamente quelli di noi che sono nati dopo gli anni Cinquanta non possono immaginare di ritornare a vivere in un luogo e in un’epoca che non hanno mai visto se non tramite la replica di alcuni film. Forse i conservatori e i cristiani stanno dicendo all’America di ritornare a essere quel luogo esistito solo al cinema o in televisione, ovvero nella versione della storia proposta da Hollywood. La bizzarra ironia di prima si ripete.
Le controversie su La Passione di Cristo hanno offerto alla comunità cristiana l’opportunità di costruire ponti con la comunità ebraica di Hollywood, ma i cristiani hanno perso questa opportunità per la loro ignoranza della dolorosa storia di Hollywood. Quando La Passione, ancora prima di giungere sul grande schermo, iniziò a suscitare nella comunità ebraica la paura che il film promuovesse un messaggio antisemita, i cristiani ebbero una prima occasione per poter osservare la relazione tra la sofferenza di Gesù sulla croce e la persecuzione subita nella storia dalla comunità ebraica. Anziché riconoscere le colpe dei nostri padri verso la popolazione ebraica, la comunità cristiana si è stretta intorno a Mel Gibson e alla sua persecuzione realizzata dalla stampa liberal. Ci siamo innanzitutto identificati con le sofferenze di Mel, bistrattato dall’intellighenzia ebraica. Ancora sofferenti per la perdita del nostro potere culturale ci siamo considerati al posto di Gesù, sulla croce, proprio nel momento in cui Egli avrebbe voluto che noi dichiarassimo le nostre colpe per la sofferenza causata ad altri. L’invito di Gesù all’umiltà collettiva è stato trasformato in una chiamata alle armi per tutti coloro che desideravano vincere la guerra culturale.
Abbiamo accolto La Passione di Cristo come un’irripetibile opportunità per trasformare una cultura decaduta, però ci siamo comportati come una minoranza perseguitata impegnata in una resistenza armata. Abbiamo gridato vittoria al botteghino ma abbiamo perso l’opportunità di colmare la distanza culturale tra la comunità cristiana e la Hollywood ebraica.
Quando l’Anti-Defamation League accusa La Passione di Cristo di incoraggiare di nascosto una prospettiva antisemita non sta solamente attaccando un film, ma lo stesso Mel Gibson e quello che le sue idee politiche rappresentano. Quando Mel Gibson difende il proprio film durante un talk show conservatore come il The O’Reilly Factor, non fa che rinforzare le paure di una intromissione conservatrice. I cristiani che giustificano il ritratto degli ebrei proposto dal film semplicemente come il rispecchiarsi della testimonianza biblica non comprendono l’amara ironia che vi sta dietro. Chi ha ucciso Gesù? Come dimostra abilmente La Passione sono stati i più sinceri difensori di Dio a collaborare col governo per far condannare e crocifiggere Gesù. I farisei e i sommi sacerdoti vedevano Gesù come una minaccia per Dio, una forza che avrebbe indebolito la loro tradizione religiosa. Duemila anni dopo, gruppi di cristiani conservatori si uniscono al governo per poter preservare la tradizionale conoscenza di Dio e della religione.
Ci chiediamo perché Hollywood sembra essere così sulla difensiva. Forse quelli che sono stati perseguitati più duramente e più di recente possono identificare meglio di chiunque altro le minacce rappresentate dai ben intenzionati difensori di Dio. Molti continueranno una campagna volta a ripulire Hollywood e mentre si sbarazzeranno di ogni aspetto legato al sesso, alla violenza e alla volgarità gratuita dovranno però assicurarsi di eliminare, nel frattempo, anche alcuni ingombranti ostacoli storici.Come sceneggiatore che tenta di seguire Gesù suggerisco di iniziare la nostra apologetica facendo delle scuse. The Passion ritrae un Gesù che accetta umilmente la croce. Spero e prego che la Chiesa si comporti altrettanto umilmente nei confronti di Hollywood.San Paolo nel suo verso – poco discusso e raramente memorizzato – della prima lettera ai Corinzi 5,12 delineò un’efficace strategia per un impegno culturale: «Spetta forse a me giudicare coloro che non appartengono alla Chiesa? Non sono quelli di dentro che voi giudicate?». Gli unici peccati di cui siamo responsabili sono i nostri. Dopo un centinaio di anni in cui abbiamo preso a sassate la cultura, forse possiamo iniziare un nuovo secolo riconoscendo la nostra complicità, confessando i nostri peccati.
La passione di Cristo si conclude con una scena profondamente semplice e poetica. Un masso rotola via dall’entrata di una tomba, un alito di vento o uno spirito si innalza da un sudario; il Cristo crocifisso appare vivo, in piena salute. Quest’efficace, potente resurrezione cinematografica non richiede nessun tipo di fuochi d’artificio, spettacoli pirotecnici o effetti speciali. è un momento tranquillo, intimo, privo di qualsiasi esibizione ostentata, di protesta o di qualsiasi riflesso politico. Se la Chiesa sceglie un atteggiamento di confessione e di pentimento quieto e umile allora, forse, è possibile una resurrezione. Anche a Hollywood.
*Craig Detweiler insegna Comunicazioni di massa alla Biola University. è anche sceneggiatore e autore del libro A Matrix of Meaning: Finding God in Pop Culture. Ha scritto i film The Duke per la Buena Vista e Extreme Days per Providence Entertainment. Il suo documentario Williams Sindrome: A Highly Musical Species è stato premiato con un Cine Golden Eagle e il Crystal Heart Award all’Heartland Film Festival. è anche collaboratore della rivista The Mars Hill Review. Il suo testo A Matrix of Meaning scritto con Barry Taylor è stato riconosciuto dall’Evangelical Christian Publishers Association come uno dei cinque libri finalisti per il Gold Medallion Book Award in teologia/dottrina.

Nessun commento:

Posta un commento